Rocambole Garufi, Siti antichi a Militello in Val di Catania (Sicilia)


Salvatore Paolo Garufi

DALLA “NATIVITA’” DI ANDREA DELLA ROBBIA
AI “CONTADINI” DI SANTO MARINO
Storia dell’arte a Militello nel Valle di Catania

 

I

LA PREISTORIA DI MILITELLO

1. Stili decorativi dei manufatti trovati nell’agro di Militello.

Per avere consistenti espressioni artistiche nelle vicinanze di Catania bisogna aspettare il neolitico medio (3.000 a.C.), quando si affermò la cultura di Stentinello (villaggio nei pressi di Siracusa). La sua ceramica è riconoscibile per le decorazioni impresse. Con esse si suggeriva e si esaltava la forma del vaso (in un certo senso, era come se con la decorazione venisse definito l’oggetto, sottolineandone una sorta di forma assoluta).

Probabilmente erano presenti espressioni non spregevoli di tale cultura in contrada Oxena (Tra Lentini e Militello), stando ai reperti ceramici riconoscibili per le decorazioni impresse, provenienti da corredi funerari.

Infatti, momento importantissimo della cultura di Stentinello fu il culto dei morti. Con essa i cadaveri vennero inumati individualmente nella cosiddetta cista litica, un recipiente a forma di scatola seppellito nel terreno ed, in genere, delimitato da ciottoli e pietre. Questo particolare mette in diretta connessione la cultura di Stentinello con la greca civiltà micenea, dove:

“Per quanto riguarda le forme architettoniche funerarie dobbiamo innanzitutto ricordare la più antica e diffusa: la tomba a cista, una fossa quadrangolare foderata con lastroni di pietra, in cui erano inumati più individui in posizione ranicchiata. In seguito le sepolture si presentano come fosse allungate che accolgono i defunti in posizione supina.”(1)

Per il periodo successivo, va ricordato un vasetto anch’esso trovato ad Oxena e citato da Bernabò Brea, oggi nel Museo “Paolo Orsi” di Siracusa. Il manufatto è decorato e graffito dopo la cottura e presenta analogie con la ceramica dello stile di Piano Notaro (prima del 1.800 a.C., nell’età eneolitica).

Ma, le prime, consistenti testimonianze archeologiche nel territorio di Militello si trovano a partire dall’età del Rame. Infatti, appartengono a quest’epoca i resti di “alcune capanne delimitate da stretti fossati ed una tomba a pozzetto”,  individuati in contrada dosso Tamburaro(2).

Più recentemente, inoltre, resti simili sono stati trovati in contrada Fildidonna, su un pianoro prospiciente dosso Tamburaro. La morte, però, è riuscita ad attraversare meglio i secoli, se si pensa che in contrada Annunziata possiamo ammirare alcune tombe della cultura di Castelluccio (tra il 1.800 ed il 1.400 a.C., nell’età del bronzo antico). Così, sparse nel contado di Militello si trovano diverse necropoli di quel periodo. Nel pianoro di Santa Barbara, per esempio; oppure nella collinetta di fronte alla contrada di San Vito, dove le grotte per sepolture probabilmente appartengono all’età del bronzo.

Paolo Orsi chiama tale cultura “primo periodo siculo” e Luigi Bernabò Brea esclude che i suoi portatori fossero dei siculi. La cultura dei siculi, invece, è rappresentata a Pantalica ed appartiene all’età del bronzo recente (1.250 a.C.) La cultura di Castelluccio, infatti, non ebbe alcuna affinità con quella dell’Italia peninsulare, da cui provenivano i siculi. Contiene, piuttosto, elementi greco-anatolici e, quindi, indica un’origine orientale. Essa si estese nella parte sud-occidentale e meridionale dell’isola. Tutto sommato fu una cultura unitaria, anche se in base alla decorazione ceramica possiamo distinguervi due diverse “facies”.

Le tombe furono scavate nella roccia calcarea, secondo una forma ovale, raramente raggiungendo, o superando, i due metri. Le piccole porte d’ingresso (al di sotto del metro, tra i 70 ed i 90 cm.) venivano chiuse con murature a secco, o con portelli di pietra, che potevano essere decorati a rilievo, con motivi spiraliformi (ed a tal proposito è interessante sapere che Bernabò Brea notò la vaga analogia che questi portelli presentano con le sculture dei templi maltesi dell’età di Taxien, anche se queste sono artisticamente superiori e cronologicamente più antiche).

Vi si trova una ceramica, che si caratterizza per le linee nerastre su fondo giallino o rossastro (qualche volta è possibile trovare ritocchi biancastri). Le forme ed i motivi si ripetono: grandi anfore biansate, vasetti gemini a saliera e così via.

La forma più comune nel territorio di Militello è il vasetto trilobato e monoansato, oltre alle ciotole più o meno povere. Vi troviamo, comunque, tracce di un periodo in cui la civiltà mediterranea si espandette politicamente ed economicamente, giungendo a contatto con paesi lontanissimi. Con la mediazione della Francia e della penisola iberica, infatti, questa civiltà arrivò fin verso le isole della Gran Bretagna, poiché dalla Cornovaglia veniva lo stagno per ottenere il bronzo.

Note

  1. Gillo Dorfles-Cristina Longhi-Chiara Maggioni-Maria Grazia Recanati, Arti visive, vol. I, Atlas, Bergamo, 2000, p. 52;
  2. Maria Grazia Branciforti, Il riposo del guerriero, in Militello in Val di Catania, suppl. al n. 6 di “Kalos”, Edizioni Ariete, Palermo, Novembre-dicembre 1996, p. 2.

2. Catalfaro araba.

L’ivasione araba cominciò a metà di luglio dell’827, l’anno 6335 del calendario greco (dal 1 settembre 826 al 31 agosto 827), come usavano datare gli storici arabi (quando volevano riferirsi al calendario dei “Rum”, cioè dei bizantini).

Arrivò una truppa che (ovviamente, oltre agli arabi) comprendeva berberi della Tunisia, musulmani, spagnoli e forse anche negri sudanesi(1).

Lo sbarco avvenne a Mazzara; poi, la guerra tra cristiani e islamici seguì un percorso di avvicinamento di quest’ultimi verso la capitale, Siracusa. Nell’830/831 (cioè nel 6339 del calendario greco) arrivarono dalle parti di Militello, conquistando Mineo, da loro chiamata Minawh.

Poi, nell’831/832 (6340 greco) fu presa Palermo, nell’841/842 (6350) vi fu una terribile invasione di cavallette, nell’844/845 (6353) caddero le rocche di Modica (Mudiqah per gli arabi) e nell’846/847 (6355), con la caduta di Lentini, ovvero L.tayanih, tutto il territorio all’intorno era ormai islamizzato(2).

Nell’878 gli arabi saccheggiarono Siracusa e facilmente qualche eco arrivò nell’attuale territorio militellese, magari in termini di profughi, dato che la sorte degli sconfitti fu terribile. Moltissimi prigionieri vennero uccisi e l’arcivescovo fu risparmiato soltanto perché svelò dove si trovava il tesoro della cattedrale.

Quando l’opera della soldataglia finì, “si disse che non era rimasta anima viva in una città che una volta era stata rivale di Atene e di Alessandria e che superava di gran lunga la Roma contemporanea in ricchezza e splendore”(3).

L’ultimo importante avamposto cristiano, quello di Taormina, cadde nel 902 e, infine, l’ultimo focolaio di resistenza organizzata, quello di Rometta, fu spento nel 965.

I tempi della dominazione musulmanna videro in questo territorio il fiorire del sito di Catalfaro. Esso venne citato dal geografo ‘Abu ‘Abd ‘Allah Muhammad ‘ibn Muhammad ‘ibn Abd Allah ‘ibn ‘Idris, che gli occidentali hanno chiamato Edrisi, nel suo Kitab nuzhat ‘al mustaq…, ovvero Libro del sollazzo per chi si diletta di girare il mondo.

Eccone le parole esatte:

“Da Lentini alla Qal’at Minau (comune di Mineo), per ponente a mezzogiorno, ventiquattro miglia. Mineo, bella rocca tra i monti di Vizzini, è circondata di sorgenti, abbonda di campi da seminare, di frutte, di latticini ed ha terre di ottima qualità. Da Mineo a Vizzini quattordici miglia per mezzogiorno. Da Mineo a Caltagirone dieci miglia per ponente. Da Mineo a Qal’at ‘al Far (La rocca del topo) tre miglia per tramontana…”(4)

Un’altra citazione di Calthaelfar, aggiunse Michele Amari, commentando in una nota il sopra riportato brano, la troviamo in un diploma del XI secolo.

Se teniamo conto che Militello non si trova citato, vien facile concludere che allora esso era soltanto un insediamento di poche case e di nessuna importanza. Il riferimento urbano era, forse, Catalfaro. Ciò, a maggior ragione, se pensiamo alla natura del genere letterario di cui Edrisi fu insigne rappresentante. Infatti:

“La letteratura geografica (…) nasce da itinerari (masalik) formatisi per bisogni commerciali oltre che politici e religiosi, e allaccianti in una fitta rete di strade le varie regioni dell’Impero. Per queste strade passano i mercanti, nerbo della vita economica medievale, che trasportavano da un capo all’altro del territorio islamico e anche oltre, tra gli Infedeli, i prodotti dell’agricoltura e dell’industria arabo-musulmanna”(5).

Fra l’altro, Edrisi non risulta l’unico autore arabo che cita Catalfaro. Quando descrivono questa parte della Sicilia, ne parlano praticamente tutti. Ne parla, soprattutto, ‘Al ‘Umari, detto pure ‘Ibn Fadl ‘Allah(6), segretario damasceno, citandola fra le rocche più importanti di Sicilia (per la zona del Calatino, insieme a Caltagirone e Mineo).

Quanto detto, evidentemente, per noi comporta la conseguenza di uno spostamento della fondazione della città di Militello a una data molto posteriore a quella d’epoca romana correntemente accettata. Il suo castello può farsi risalire alla politica di nuovi insediamenti cristiani, dopo l’arrivo dei normanni in Sicilia nel 1078, magari subito dopo la distruzione della roccaforte araba di Catalfaro.

Note

  1. Cfr. Denis Mack Smith, Storia della Sicilia medievale e moderna, Editori Laterza, Bari, 1970, p. 10;
  2. Anonimo della metà del 900 (quasi sicuramente, secondo Michele Amari, un cristiano, probabilmente siciliano, forse vissuto a Palermo, segretario o computista di un diwan dei principi Kalibiti dell’isola), Tarih gazirat Siqilliah (altrimenti chiamata Cronica di Cambridge), traduz. di Michele Amari, in Michele Amari, Biblioteca arabo-sicula, Ermanno Loescher, Torino e Roma, 1880 (ristampa anastatica: Dafni, Catania, 1982), vol. I, p. 278;
  3. Denis Mack Smith, Storia della Sicilia medievale e moderna, op. cit., p. 11;
  4. ‘Abu ‘Abd ‘Allah Muhammad ‘ibn Muhammad ‘ibn ‘Abd ‘Allah ‘ibn ‘Idris, Kitab nuzhat ‘al mustaq…, traduz. di Michele Amari, in Michele Amari, Biblioteca arabo-sicula, op. cit. vol. I, p. 105;
  5. Francesco Gabrieli, Gli arabi, Sansoni, Firenze, 1966, p. 133;
  6. Sahab ‘ad din ‘Abu ‘al ‘Abbas ‘Ahamad ‘ibn Yahya, ‘al Birmani, ‘al ‘Umari, più noto sotto il nome di ‘ibn Fadl ‘Allah, al Katib ‘ad Dimisi, Masalik ‘al ‘Absar, in Michele Amari, Biblioteca Arabo-sicula, op. cit., p. 263.
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