Chi fu il militellese Giuseppe Tineo (il primo direttore dell’Orto Botanico di Palermo) – di Rocambole S. P. Garufi

D al romanzo Neofeudalesimo di Rocambole S. P. Garufi Tanteri:

…Il nuovo clima favorì pure l’ascesa del militellese Giuseppe Tineo, amico e protettore, prima di Alfio e poi di Vincenzo Natale.

Nato nel 1756, Tineo era figlio di un dottore in legge e contava una lunga sequela di zii preti, piuttosto reputati per la loro dottrina.

Per sua fortuna, in quegli anni a Palermo si pensava di far nascere istituzioni di pubblica utilità: il Camposanto, l’osservatorio, le scuole normali, l’orto botanico. Perciò, oltre a diventare cattedratico all’università, egli fu il primo direttore dell’Orto Botanico.

Ovviamente, il prestigio gli derivò da quest’ultima incombenza. Essa era davvero importante, se si considera che, per metterlo in condizione di svolgerla, Caramanico lo mandò nelle scuole di Pavia, a spese pubbliche (poi, gli succedette nell’incarico il figlio Vincenzo, che a sua volta adottò come figlio – qualcuno pensò che lo fece perché ne era il padre naturale – il grande architetto Giambattista Filippo Basile. Da Giambattista, quindi, nacque l’indiscusso maestro del liberty italiano, Ernesto Basile).

In verità, la creazione dell’orto botanico fu dovuta soprattutto a un padre Bernardino, fraticello di Ucria, nominato professore in sostituzione di Tineo, mentre questi soggiornava a Pavia. Fu il religioso ad elaborare un’accurata catalogazione di tutte le piante, secondo il sistema del Linneo. Tineo ebbe soprattutto la sfrontatezza di copiarla, senza neppure citare la fonte a cui aveva attinto.

Tanta arroganza gli veniva dalla sua appartenenza alla massoneria palermitana, nella quale era stato introdotto da don Eutichio Barone. Ciò lo aveva reso ben visto ai componenti la Deputazione degli Studi e principalmente al principe di Caramanico.

Il giorno dell’inaugurazione del nuovo orto botanico, così, nonostante l’inverno precoce (si era appena al 9 dicembre), tutta Palermo si riversò dalle parti di Porta Castrofilippo e di Porta Reale.

Era un continuo via vai variopinto di persone vestita a festa e di vetture di gala. Tutti convergevano sulla spianata dove sorgeva l’edificio centrale dell’Orto. I soldati facevano fatica a mantenere libere le vie di accesso.

“E’ uno spettacolo nuovo in questi luoghi solitari” disse il principe di Caramanico alla buona amica che gli sedeva accanto nella carrozza, una misteriosa baronessa di Sorrento della quale nessuna cronaca doveva riportare il nome.

“La moltitudine di curiosi si ingrossa sempre più” osservò la donna.

Guardò negli occhi il principe, nascondendo male dietro il fazzoletto profumato un sorriso di complice ammirazione. “E’ la sua vittoria finale, caro principe.”

“Già! La piazza è diventata uno scintillio d’armi, di bottoni, di mazze dorate, di decorazioni… un brulicare di teste incipriate e imparruccate, di abiti, di toghe, di pastrani, di uniformi di tutti i colori.”

Mentre il pricipe dispensava saluti e inchini a destra ed a manca, dietro avanzavano i cocchi del Senato palermitano e dell’Arcivescovo Lopez. Seguivano le vetture dei nobili, dei prelati e degli alti dignitari. Tra la folla, molti erano professori, dottori, speziali.

Il corteo si fermò dinanzi al grande scalone del ginnasio dell’Orto botanico. Un’immensa tela copriva la facciata… tutti gli sguardi vi erano rivolti.

Ci fu un suono di tamburi e la tela cadde. Scrosciò un applauso all’apparire di uno sventolio di fazzoletti e di cappelli.

“Viva il Re!” si gridò. “Viva Palermo!”

L’arcivescovo Lopez benedisse gli edifici e la folla si sparse per le sale e per i viali. Si ammirarono le piante più rare, con sul volto un’espressione di orgoglio per quel nuovo prestigio che veniva alla città. In mezzo a tanta gente, non cercato da nessuno, c’era padre Bernardino, a vedere come il frutto del suo impegno veniva colto da altri.

Poche settimane dopo, il frate morì di crepacuore.

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