Militello in Val di Catania (Sicilia) è una vera e propria “FIRENZE DEGLI IBLEI” grazie ad un Patrimonio figurativo degno di meno superficiali attenzioni.

I BALDANZA E LA CULTURA DELLE CORTI A MILITELLO

di Salvatore Paolo Garufi Tanteri

1. Dal Gotico al Rinascimento.

Al periodo della signoria dei Barresi di Militello risalgono alcune Madonne che rappresentano esempi notevoli di figurazione artistica.

La prima è La vergine col Bambino e due angeli inginocchiati (fig. 2), una scultura in arenaria del tardo ’400, posta sopra il portale della chiesa di Santa Maria la Vetere. Ha avuto diverse attribuzioni: Enzo Maganuco(1) non ha escluso la collaborazione di Francesco Laurana, Gioacchino Di Marzo ha parlato di fattura gagginesca, Stefano Bottari l’ha ritenuta opera del carrarese Gian Battista Mazzolo. La personalità dell’autore, in ogni caso, appare già  caratterizzata dalla disposizione delle figure secondo canoni razionali. La circolarità della lunetta (esaltata dal profilo delle ali degli angeli e tendenzialmente ripetuta dalla curva dei loro corpi inginocchiati) racchiude un quadrato, entro il quale s’incastra come un triangolo l’immagine di Maria. Il bilanciamento dei volumi e dei chiaroscuri risulta preciso, anche se il panneggio è alquanto tormentato e la dolcezza del viso della Vergine propone un forte impatto emotivo. Inoltre, la positura frontale della figura, di sapore arcaico, fa dell’opera un tardo esempio di gotico internazionale.

Secondo il Maganuco, di scuola lauranesca sembra un frammento marmoreo raffigurante la Vergine Annunziata. Purtroppo, il viso è in parte corroso, ma tipici del Maestro dalmata, sempre a detta del Maganuco, sono il ritmo del drappeggio e la curva nell’angolo che iscrive la figura.

La scuola del Gaggini è rappresentata da una serie di formelle a bassorilievo trovate in Santa Maria la Vetere e da una Madonna col Bambino, statua attualmente ubicata nella sagrestia della nuova Santa Maria della Stella. Anche qui convivono esperienze culturali diverse: l’arcaismo nella rigidezza della figura, la dolce espressività catalana nell’ovale del viso e, contemporaneamente, il drappeggio sobrio, largo e naturale. Si intravede, inoltre, la concezione “matematica” dell’opera, per la quale il volume rappresentato dal Bambin Gesù viene equilibrato nel lato opposto, ponendo Maria con la spalla leggermente alzata, col braccio all’altezza del seno e col ginocchio piegato in avanti.

Un cenno particolare, ancora, merita un quattrocentesco Cristo morto di Ignoto, opera oggi conservata all’interno del Museo “San Nicolò”. I particolari anatomici qui esaltano le sofferenze patite durante la flagellazione prima, e sulla croce dopo, con nuovi effetti di feroce realismo, specchio di una cultura ormai “terrena” che andava ponendosi come alternativa alla ieraticità del Gotico.

Un discorso più ampio, invece, merita il bassorilievo Ritratto di Pietro Speciale (fig. 3, ora nella Stanza del tesoro in Santa Maria della Stella), che l’Agati ed il Mauceri hanno attribuito a Francesco Laurana; ma che più probabilmente fu opera di Domenico Gaggini, secondo una recentissima indagine dell’arch. Di Stefano della Sovrintendenza ai Beni Culturali di Catania. Esiste, infatti, a Palermo un Ritratto di Pietro Speciale,tuttotondo di sicura attribuzione al Saggini(2), del quale il bassorilievo risulta praticamente una copia. Di quest’opera, Enzo Maganuco e Leonardo Sciascia hanno parlato in termini entusiastici. Di certo, essa, nel migliore spirito rinascimentale, appare la concretizzazione di un ideale di umanità che vuol essere universale ed eterno. Più che le fattezze di Pietro Speciale, infatti, essa tratteggia il concetto di forza e di autorità. Le linee sono marcate e decise, senza indugi nei particolari. Il viso è teso e concentrato: mento prominente e volitivo, labbra serrate, sguardo attento e penetrante. Vengono, così, sintetizzate nell’espressione di un attimo il carattere e la volontà di tutta una vita, di tutta un’epoca.

Di quegli stessi anni, inoltre, ci restano alcuni capolavori che vanno ben oltre gli interessi localistici. Potremo cominciare citando il Sarcofago di Blasco II Barresi  (fig. 4) posto in Santa Maria della Stella. Nella parte superiore esso rappresenta un’ottimo esempio di monumentalità; ma, il suo interesse maggiore sta nella parte inferiore, dove insieme alle eleganterie cortesi, indizio di non dozzinali modelli di vita, vi sono accenni di fughe prospettiche che vanno a definire lo spazio; il che impone in qualche modo una revisione dei giudizi sullo stile gotico, nel senso che già allora, almeno in Occidente, entrarono nell’arte i concetti di rappresentazione della realtà, poi maturati pienamente col Rinascimento.

Nel 1487, ancora, come ha dimostrato Salvatore Troìa(3), dai Barresi di Militello viene liquidata la somma per l’acquisto di una Natività  in ceramica di Andrea Della Robbia (fig. 5, oggi collocata in Santa Maria). L’opera è divisa in tre parti. Al centro è raffigurata la nascita di Cristo in un contesto gaio ed elegante. Gesù sorride, non in una grotta, ma tra le razionali linee di una capanna. I pastori hanno una grazia arcadica. Gli alberi sullo sfondo danno freschezza e colore all’ambiente. Nella parte superiore un Dio sereno benedice la scena. In quella inferiore è rappresentata la passione, quando tutto consumatum est, in un equilibratissimo bilanciarsi di figure. Siamo davanti a un Rinascimento, se vogliamo, un po’ minore, privo delle aspre tensioni ideali dei pionieri, dominato da un’esteriore eleganza. Un operare artistico che ricorda più il Ghiberti che il Brunelleschi, più Gentile da Fabriano che Masaccio, più il gusto che l’intelletto.

Invece, nell’Annunciazione del 1572, prima nella chiesa di San Francesco di Paola ed ora nel Museo “San Nicolò”, nei limiti della sua qualità esecutiva, abbiamo un bel gioco di intelligenza. La fuga prospettica delle architetture crea lo spazio e gli accostamenti cromatici sono eleganti, culminando nella luce viva dei gigli in mano all’angelo annunziante (l’ideale centro del quadro, il punto di raccordo tra il divino e l’umano). Il viso della Vergine è disteso; ha l’espressione serena di chi ha chiaro il senso dell’esperienza che si avvia a vivere. Davvero, qui bellezza ed intelligenza coincidono. Non vi è la rappresentazione di un mistero, ma la chiara esplicitazione di un fatto. E’ il trionfo dell’umanesimo un po’ pedagogico della provincia.

Pochi anni dopo, il 7 ottobre 1574, si ha ancora un non disprezzabile saggio del gusto per l’arte della committenza locale, poiché (così ci informa Giusy Larinà) allo scultore Antonio De Mauro di Bivona, per la conoscenza che ne aveva il pittore e scultore militellese Nicola Barresi, venne dato l’incarico di modellare un bel Sant’antonio Abate, oggi visibile nella chiesa di San Sebastiano(4).

Note

  1. Enzo Manganuco, Oggetti d’arte a Militello, schede, Biblioteca Comunale “Angelo Majorana” di Militello V. C.;
  2. Cfr. I Saggini, suppl. di “Kalòs”, Palermo, Edizioni Ariete;
  3. Salvatore Troìa, La pala della Natività di Andrea della Robbia e la sua cappella in Santa Maria la Vetere a Militello, in “Lembasi”, archivio storico, Museo San Nicolò, Militello in Val di Catania, anno I n. 2, dicembre 1995, pp. 51-84;
  4. Giusy Larinà, Note documentarie sull’attività artistica a Militello in Val di Catania nei secoli XVI e XVII, Società Calatina di storia e cultura, bollettino 2/93.

/ 5
Grazie per aver votato!