S. P. Garufi Tanteri: il cantastorie Franco Trincale, tra improbabili canzoni dell’impegno e saggio umorismo a doppio senso siciliano

La decorazione novecentesca e l’immaginario popolare di Franco Trincale

di Salvatore Paolo Garufi

Sul versante della decorazione novecentesca, oltre al decoratore di carretti don Ramunnu, credo che sia da riscoprire l’opera dello scultore Mariano Zuccalà (1880?-1935), che iniziò gli studi artistici nel 1892 a Catania, nella cerchia del prof. Carlo Garuglieri. Si distinse per un bassorilievo in pastellina esposto al Reale Ospizio di Beneficenza di Torino. Eseguì decorazioni nei cantieri dell’industriale Marco Patriarca ed in chiese, palazzi, caffè, cinema (si ricorda la Sala Roma a Catania). Fu autore, inoltre, di complesse costruzioni plastiche, quali Ilpresepio, Ilriposo, Lacena, dove una tecnica non perfettissima viene riscattata dai pregi di un racconto ingenuo, non privo di note spiritose (nel Presepio, per esempio, egli inserisce sé stesso, ritraendosi con l’eterna pipa in bocca mentre da una finestra guarda la scena sacra). A Militello di lui restano diversi Capezzali in gesso e le decorazioni delle scale interne di Palazzo Baldanza.

Una veloce citazione merita pure Nicolò Sinatra, già ricordato come fotografo ed autore di cartoline, per i suoi dipinti di paesaggio che, seppur banali nei temi e nelle stesure cromatiche, evidenziano un’onesta fatica per arrivare almeno alla correttezza del disegno.

Cantastorie dal forte impegno politico, invece, può definirsi il vivente Franco Tringale. La miscela di arte e politica appare meglio rappresentata a partire dagli anni settanta, quando l’egemonia culturale della Sinistra, fra mille cose pessime, ebbe il merito di determinare una congerie di documenti che, nati ideologici, furono capaci di diventare testimonianze umane. Il fenomeno riguardò, più o meno, l’Italia intera. Infatti, una schiera di artisti interessante risultò quella dei cantautori. Di questi, Paolo Pietrangeli ed Ivan Della Mea forse riuscirono ad avere i migliori esiti poetici. Canzoni come Contessa (di Pietrangeli) o O cara moglie (di Della Mea) suscitano tuttora fremiti di commozione, pur nella loro inesorabile datazione.

Ma, rare volte, credo, studiando il corpus musicale, poetico e pittorico di un autore, si ha una vera e propria immagine speculare della vulgata corrente, come quando si analizza la produzione di un cantastorie. Nel caso di Tringale, in particolare, in coerenza con l’odierna epoca, trattasi di luoghi comuni progressisti.

Egli ebbe il primo successo con La tragedia dei Kennedy, con la quale nel 1968 vinse la Sagra dei cantastorie di Piacenza. Resta uno dei suoi lavori migliori, dove ci sono tutte le caratteristiche di un genere popolare e semplificatorio. Così, il mondo viene guardato con manicheismo. Tutto è semplice: i buoni stanno da una parte ed i cattivi dall’altra. C’è pure un macroscopico falso storico Infatti, Tringale invita gli americani ad andar via dal Vietnam, dimenticando che fu proprio il buon Kennedy a volere quella guerra. Ma, a parte le idee, il testo ha una sua nobiltà, datagli da una tradizione secolare. Va ascoltato con simpatia, ma senza prenderlo sul serio, come si ascoltano le storie di Orlando e Rinaldo, o di cumpari Turiddu e donna Lola.

Le suddette caratteristiche si accentuano nella sterminata produzione successiva, dove l’impegno politico del cantastorie è aumentato, portando sui palcoscenici i temi delle lotte comuniste, rispecchiando una cronaca troppo spesso inattendibile (quanto veniva detto sulle stragi, sull’occupazione e sulla condizione operaia).

Un giorno, però, per scelta di campo estremista ruppe col PCI e così la sua carriera ebbe un brusco arresto. Era arrivato il momento del ritorno all’ordine. Non ne guadagnò, purtroppo, l’ispirazione. I testi che produsse non vanno al di là del luogo comune ed anche l’ironia s’incanaglisce nel sarcasmo.

Meritano, comunque, d’essere citate Lettera alla moglie, Lo stagionale, Battaglia del 9 aprile. Qualche gusto, infine, mi viene dal riportare alcuni versi suoi che “dal punto di vista politico” non convinsero il famoso dirigente comunista Giancarlo Paietta:

Per ogni Coca Cola che tu bevi

Un proiettile all’America hai pagato

E, se il marine la mira non fallisce,

Un compagno vietnamita assassinato!

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