S. P. Garufi Tanteri: “Malandrìa” – da “I momenti della vita” (racconti): una impotente lussuria, metafora di una generale impotenza esistenziale…

4

Malandria

La sera in cui tutto cominciò una fitta pioggia era scesa di brutto. Sciupafemmine – come da sempre lo chiamavano tutti – vedeva l’acqua traboccare gonfia nei marciapiedi, con articolazioni inquiete. La vedeva riccioletta, leziosa e pigolante sotto i canaloni.

A tratti, quando passava una macchina, la vedeva aprirsi in viscide e nere ali d’uccello. Il cielo nero, l’asfalto nero, i muri neri si mangiavano la luce dei lampioni, che, perciò, restavano lì, miseramente impiccati, come un monito sulla perdita del senso.

Aveva bevuto, di forza, sette od otto cognac in sette od otto bar diversi. Probabilmente, aveva esaurito i bar aperti di Malandrìa. Erano locali deserti… neppure i soliti cogitabondi sui soldi e sulle donne.

Il freddo – il freddo terribile del novantatrè, che dalle sue parti nessuno aveva sofferto prima – rendeva casalinghi. E sarebbe andata meglio se, casalingo, lo fosse stato anche lui.

Al più, avrebbe dovuto scegliere il pokerino a casa di Franco…

Invece…

Invece, ero andato da Adele. Era lei, infatti, che in quel momento gli dava una pazza smania di fare a pugni, o d’aggomitolarsi a piangere sulle scale di Santa Giulia, incurante della pioggia, protetto dalla pioggia!

Adele era l’amante di Ciccio Alain Delon, il suo migliore amico… e lui, anche se non l’aveva mai vista nuda, ne conosceva tutta la carne morbida.

Ciccio, normalmente d’eloquio impreciso ed approssimativo, su certi argomenti acquisiva una rara capacità di messa a fuoco e gli aveva dato figurazioni straordinariamente vivide di Adele a letto, di fronte e di spalle.

Poiché in giro non c’era nessuno, quindi nell’impossibilità di fare a pugni, scelse le scale di Santa Giulia…

Chissà che la Santa non gli avesse voluto dare il consiglio giusto!

Sotto la cornice del portone centrale, al riparo dell’acqua, trovò un gatto.

“Uhm…” fece, incerto se parlargli o no.

Il gatto lo guardò: senza paura, soltanto attento e pronto all’eventuale lotta.

Era uno strano animale. Si capiva chiaramente che non era randagio; anzi, sembrava di razza. Il pelo, di un nero luciferino, era lungo, ben pettinato, morbido e lucido. Era il pelo di chi ha l’abitudine di mangiar bene. Vi brillavano sopra le iridi verdi, con le pupille a punta di lancia.

Pensò – pensò, o disse? – che quel gatto assomigliava ad Adele.

Non per gli occhi – Adele li aveva neri, un’autentica rarità coi capelli rossi – e neppure, ovviamente, per altri particolari fisici…

Gli pareva che quel gatto di Adele avesse la disposizione interiore, la sensualità quieta e perentoria…

C’era pesantezza ed agilità, in quelle forme.

Si sedette vicino al gatto, spingendolo col sedere.

“Fatti più in là!” gli disse.

La pioggia cadeva a lenzuolo. Un lampo illuminò il cielo, non molto lontano, dato che il tuono s’udì subito dopo.

Il gatto si leccò una zampa, la passò sul muso, la posò di nuovo e tornò a guardarlo tranquillamente.

Sciupafemmine era fradicio d’acqua e sudava. Era prossimo alla liquefazione e aveva voglia di disperdersi negli uadi che gli correvano intorno.

Accarezzò il gatto. Sentì il tepore pieno delle sue forme. Si specchiò nel suo sguardo pacifico, o comprensivo, o indifferente, o…

Che penserà mai un gatto, guardando un uomo?

Negli ultimi giorni Sciupafemmine e Adele spesso erano stati insieme. Egli aveva persino avuto la pazienza di farle compagnia nei negozi di Nataca. Adele provava centinaia di scarpe, di tailleurs, di gonne, di cardigans, di golfini, di felpe e lui si procurava piaceri colpevoli.

Verificava, per esempio, la qualità di una stoffa e le toccava le spalle o un braccio… una piega deturpava la gonna ed egli le accarezzavo i fianchi… un paio di occhiali nuovi erano l’occasione giusta per prenderle i capelli e per aggiustarglieli attorno alla montatura…

Finché, proprio quel giorno, si era impadronito del polpaccio della donna, alzandole la gamba per ammirare l’effetto di una calza.

Così, a mezzogiorno – per la prima volta – era andato a trovarla a casa. Nulla di particolare: ella lo aveva invitato a pranzo, poiché era sola e le bisognava un aiuto per i preparativi della sua festa di compleanno.

Al formaggio, in altre parole alla fine del pasto, dato che Adele era una fissata della cucina francese, Sciupafemmine aveva osservato:

“Troppo gorgonzola! Ora, chi ha voglia di lavorare?”

“Eh, no!” aveva ribattuto lei. “Senza cercare scuse!”

Subito dopo c’era stata la sorpresa e l’inizio dei guai.

Adele gli era andata accanto e gli aveva fiatato:

“Il formaggio è afrodisiaco…”

Il suo seno gli danzava vicino agli occhi ed aveva avuto una voce rauca, che andava dritta nel sangue.

Avrebbe voluto dirle qualche bella frase, adeguata all’occasione…

Ma, l’aveva soltanto afferrata, cercando con la lingua di disserrarle le labbra.

“Che fai?” aveva smozzicato Adele.

“Un secondo e lo vedi” aveva ribattuto lui, rovesciandola sul tavolo.

Adele aveva visto ben poco, purtroppo. Mentre ancora egli trafficava con i vestiti, a tradimento, senza alcun piacere, ogni baldanza gli si esauriva miseramente.

Ora, dentro di lui, desiderio e frustrazione tornavano ad infuriare, insieme alla pioggia che crosciava sulle balate del sagrato.

“Al diavolo…” disse a voce alta e si accese una sigaretta.

A quel punto, il gatto si alzò e si scostò di un paio di metri, andando sotto l’acqua. Poi, con un inaspettato e greve movimento del corpo, allargò le zampe posteriori, si piegò e fece i suoi bisogni.

Si sorprese a spiarlo. Peggio! Fu catturato da un fascino lubrico ed allarmante. Era come guardare Adele seduta sul water. Ella, coi suoi fianchi larghi, col suo sedere sodo e polposo, probabilmente si muoveva così, quando…

Perciò, non appena il gatto tornò, lo prese in braccio. L’animale non gli oppose resistenza. Lo guardò di sotto…

Era una gatta.

Non lo capì subito, ma in quel preciso momento la sua pazzia per Adele era finita.

Ne cominciava un’altra.

Ebbe la coscienza dell’agghiacciante verità diversi giorni dopo, anche se il primo sintomo venne già all’indomani, quando il sole ritornò padrone del cielo, beato come un papa.

Appena sveglio, Sciupafemmine portò la gatta alla luce di una finestra per guardarla meglio. Sul manto erano sparsi alcuni peli bianchi… tanti filamenti di luce che gli diedero una stretta di tenerezza.

Allora andò in cucina e le preparò una ciotola di latte. Poi, se ne stette ad osservare incantato i percorsi della sua lingua sul latte, rapidi e voluttuosi.

Credeva che fosse uno scherzare solitario. Nulla di malato… soltanto un fatto malinconico.

Ma, molto meno innocente fu il ritrovarsi ancora a spiare la gatta mentre faceva i suoi bisogni.

Andò peggio quando l’animale si lasciò corteggiare da un gattone bianco. Provò un incoercibile fastidio, perse il senso del ridicolo e chiuse il felino nel bagno.

Per alcuni giorni ritornò (spesso) a casa, a sorpresa, come i mariti nei guai. Tanto interesse impotente gli dava spossamento e smania al contempo.

Un pomeriggio, finalmente Adele suonò alla porta.

“Ciao, seduttore” disse, entrando.

“Non pensavo di rivederti” seppe risponderle appena.

“Logico” disse lei. “Sei tu che mi hai violentata.”

Poi, andò a sedersi sulla poltrona in cui abitualmente ronfava la gatta, il che gli provocò una sorta di emozione.

Notò che s’era vestita con eleganza: giacca e pantaloni blu, mise che attutiva un po’ l’esuberanza dei fianchi e valorizzava le lunghe gambe.

“Sempre infoiato?” s’informò, aprendo la borsetta e tirandone fuori il pacchetto delle sigarette.

Ne prese una, accese, tirò una boccata e con chiara soddisfazione sbuffò il fumo verso il soffitto.

“Ho rotto col tuo amico” disse dopo un po’.

“E perché?”

“Gli ho raccontato ciò che hai combinato.”

Francamente, a Sciupafemmine non importava granché. Ma, non era carino, almeno per Ciccio, che era sempre un quasi fratello…

Così, le disse, tanto per dire:

“Debbo quindi aspettarmi di vedermelo spuntare in casa, a fare cavalleria rusticana?”

“Non credo. Mentre raccontavo, ho avuto l’impressione che fosse più infastidito del fatto che gli mandavo in vacca il pomeriggio… Si stava godendo la cassetta con la registrazione dei fuochi d’articio della festa di Santa Giulia.”

“Ah!”

Sciupafemmine fece un ghigno sarcastico. Poi, prese una sigaretta dal pacchetto di Adele.

“Chi può dargli torto?” aggiunse, mentre accendeva. “L’anno scorso sono stati spettacolari!”

“Come no? Queste sono le cose che ti aggiustano la vita…” disse la donna. “Purtroppo, quella sera è venuto giù un vero e proprio diluvio…”

“Me lo ricordo. Pensavo a te, quando ci sono finito dentro.”

“Spero che almeno ti sia preso il raffreddore!”

“Non mi è successo nulla. Mi sono riparato sotto il portone di Santa Giulia: culo e camicia con Madre Chiesa!”

Adele sorrise.

Avrebbe dovuto sentirsi Salvo.

“Anche quella sera, come sempre, sono rimasta sola” disse. “Spesso, quando piove ho voglia di fare all’amore. Ecco perché ho notato che l’amico tuo mi trascura…”

Bene. Stava per dirgli ciò che da tanto tempo Sciupafemmine sognava di sentirsi dire.

Si sforzò di credersi in salvo.

Infatti, Adele disse:

“Quando mi hai sbattuta sul tavolo, almeno c’è stato il brivido di sentirsi desiderata…”

“Già” commentò Sciupafemmine. “Peccato che non ho fatto molta figura.”

Se la ritrovò vicinissima. “Puoi rimediare…”

Ovviamente, Sciupafemmine accettò l’invito…

Ma, mentre le dava quel bacio che gli era stato impossibile alcuni giorni prima, una forza malvagia dentro di lui lo portò a dire:

“Prima, potresti farmi un favore?”

“Quale?”

“Puoi sederti… sul water?”

“A far che?”

“Vorrei vederti muovere fianchi…”

“Cosa?!”

“Sì, come quando ci si libera lo stomaco…”

Naturalmente, Adele lo mollò all’istante.

Sciupafemmine, per non uscire pazzo irreversibilmente, decise di uccidere la gatta e la scaraventò giù dal suo balcone.

Inutilmente.

/ 5
Grazie per aver votato!