Fotoromanzi – Benedetta Perilli, “Il fotoromanzo”

Il fotoromanzo Sogno torna in edicola: lo abbiamo letto per voi

Il fotoromanzo Sogno torna in edicola: lo abbiamo letto per voi

Le storie d’amore del passato rivivono ogni settimana insieme ai racconti dei protagonisti di ieri, come Katiuscia, e di oggi. Il direttore Mario Sprea e la saggista Silvana Turzio spiegano perché è un genere ancora moderno

DI BENEDETTA PERILLI

25 Luglio 2020

In uno strano venerdì di fine luglio, mentre a Milano grandina, a Roma l’afa annienta, in Italia pandemia e crisi avanzano, torna in edicola il fotoromanzo Sogno (Sprea Editori). Che letta così potrebbe sembrare una burla. Ma come, con la carta stampata che stenta a sopravvivere, internet, i social, il #metoo e tutto quello che è successo dagli anni Ottanta – quando i fumetti fotografici si sono eclissati a causa dell’avvento della televisione e del benessere economico – ha ancora senso pubblicare un fotoromanzo?
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Dalla prova della realtà arriva una prima risposta positiva: nelle quattro edicole raggiunte di buon mattino nel giorno d’esordio le copie di Sogno erano già terminate. Ma il progresso può aiutare e al costo di 0,90 centesimi (contro l’euro e cinquanta della copia cartacea) è possibile acquistare online un pdf del settimanale e cercare di fare una prima valutazione sui contenuti. Nelle prime pagine viene ripercorsa l’appassionante storia dell’invenzione tutta italiana del fotoromanzo, avvenuta nel 1947 con una paternità ancora da assegnare tra Cesare Zavattini e Damiano Damiani, e quella di Lancio, la casa editrice che fece del fotoromanzo un successo mondiale.

Poi c’è spazio per la rubrica affidata ai ricordi delle storiche lettrici che raccontano la rivalità tra i più amati del film statico, Franco Gasparri e Franco Dani, e a seguire il servizio di copertina dedicato a Katiuscia, ovvero Caterina Piretti, vera diva del genere che si racconta in una lunga intervista, dagli ingaggi miliardari alla caduta nella dipendenza della droga. E questo basterebbe già a risvegliare un lettore annoiato. Poi arrivano i fotoromanzi, uno completo e due a puntate. I titoli sono: “Io sono qui, ma tu non lo sai”, “Amo un cacciatore di farfalle” e “La favola dell’uomo cattivo”.
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Non aggiungiamo altro perché non ci piace spoilerare ma per cercare una risposta alla domanda di partenza sul senso del fotoromanzo oggi (a questo punto la scrivente un senso lo avrebbe già trovato) ci spingiamo oltre e contattiamo telefonicamente Silvana Turzio, autrice del libro “Il fotoromanzo, metamorfosi delle storie lacrimevoli” edito nel 2019 da Meltemi. La risposta arriva da un’automobile bloccata in strada da un temporale. “Sembra quasi l’inizio di un fotoromanzo”, esordisce la saggista, esperta di cultura visiva e curatrice già docente all’Università Statale di Milano e di Bergamo. Anche per lei il ritorno in edicola di Sogno è una buona notizia.

“Dal 2007 mi occupo di questo genere con mostre, convegni e infine il libro, e continuo a pensare che sia il prodotto editoriale italiano più interessante pubblicato tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta. E lo è per due motivi. Da un punto di vista cartaceo perché riesce a far dialogare testo e immagini in una forma unica, poi perché tutta la storia d’Italia passa da qui e non solo su SognoBolero o Grand HotelI fotoromanzi sono stati anche politici o pseudopolitici, il Pci, Famiglia Cristiana e artisti italiani come Stefano Arienti hanno utilizzato questa forma di espressione”. 

Il fotoromanzo Sogno torna in edicola: lo abbiamo letto per voi

Eppure ancora oggi il pregiudizio sulla nobiltà del genere rimane forte e lo conferma la stessa Turzio raccontando che la scelta di dedicare un libro al fotoromanzo non è stata capita subito da molti intellettuali a lei vicini anche se sono tanti i semiologi e gli storici appassionati. “C’è questa idea elitaria che il fotoromanzo sia stato fatto solo per persone meno colte, ed è vero che all’inizio la distribuzione era molto popolare ma poi l’approccio è lentamente cambiato. Sotto pseudonimo persino Zavattini ha scritto nel 1962 un fotoromanzo su Bolero Film dal titolo Colpa. Recentemente è stato riscoperto dallo Spazio Gerra di Reggio Emilia che lo ha messo in scena e continuato con un sequel su Instagram. Nell’originale una donna veniva abusata e poi si sposava per recuperare la dignità, nel sequel dopo l’abuso la donna denuncia”. 

Insomma il fotoromanzo è vivo e a dispetto del pregiudizio parla di un mondo ancora moderno fatto di storie “di donne per le donne, con problematiche attuali come il lavoro, il mobbing, il rapporto con i genitori”, conclude Turzio e qui il suo racconto si incrocia con quello dell’altro intervistato, Mario Sprea, 86 anni, ex direttore di Gran Hotel, sceneggiatore per venti anni della Lancio, produttore di fotoromanzi in proprio tra i quali Katiusciadirettore del nuovo Sogno. Risponde con l’entusiasmo degli inizi, la cautela di chi conosce il mestiere – “mi impensierisce l’idea di un settimanale, ci vuole tanto lavoro. Io ho iniziato a scrivere a 16 anni come narratore ma poi per campare ho dovuto fare il giornalista e l’editore” – e anche la sua idea sulla modernità del fotoromanzo ha come chiave la donna. 

Il fotoromanzo Sogno torna in edicola: lo abbiamo letto per voi

“Tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta il fotoromanzo ha vissuto una rivoluzione grazie alla donna e alla sua evoluzione nella società. Io mi trovai addirittura a scriverne uno per il Partito Socialista durante la campagna per il divorzio. La protagonista non era più la ragazza semplice e innamorata ma una donna come Katiuscia che viveva nella società e voleva uscire dalle convenzioni. Era una donna coraggiosa, poteva lavorare al mercato ma essere consapevole, indipendente, con delle idee, che competeva con gli uomini e li trattava alla pari. E’ grazie a quella donna lì che le nostre storie sono ancora attuali”.

Il fotoromanzo Sogno torna in edicola: lo abbiamo letto per voi

Sì perché i fotoromanzi che tornano in edicola con Sognonon sono produzioni nuove ma riproduzioni di una serie di vecchi numeri scritti da Sprea, spuntati per caso durante la pandemia e valutati di grande modernità. Da lì nasce l’idea di ripubblicarli nonostante la difficoltà di reperire i fotogrammi originali, andati perduti, e dovendo attingere alla scansione di vecchie copie acquistate nel ricco mercato di collezionisti. “Più della qualità delle facce degli attori, che sono state il segreto del successo di allora, ci ha colpito la freschezza di queste storie che sono le stesse che si vedono oggi in tv. Sentiamo il bisogno di proporre cose nuove in edicola perché alle crisi si reagisce facendo, cercando di produrre e inventare – spiega Sprea – per scaramanzia non parlo della realizzazione di nuovi fotoromanzi ma è inevitabile, se l’accoglienza sarà buona siamo pronti a rifarli. Bisognerà trovare tutta una serie di nuove maestranze, dagli sceneggiatori ai fotografi fino agli attori. Sarebbe bello dare lavoro soprattutto in questo momento di crisi”. 

Certo i tempi sono cambiati ma il segreto per un racconto di successo per Sprea rimane invariato. “Bisogna raccontare storie da film ma che siano verosimili, che possano accadere anche a te. L’ho imparato negli anni e in particolare quando Arturo Mercurio della Lancio decise di fare fotoromanzi non a puntate, allora abbiamo iniziato a scrivere storie più moderne. Prendevamo gli attori per strada, vicino a via Veneto, avevano delle facce bellissime e si accontentavano di pochi soldi. C’era fermento, c’erano i film di Fellini e Antonioni, e allora anche i principi divennero nobili decaduti ai quali le donne facevano rimboccare le maniche e i cattivi iniziarono ad avere sentimenti”. 

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