IL GARUFI EDIZIONI on-line: “LE VOCI FRA GLI STERPI” – Cinquecento anni di spettacoli a Militello in Val di Catania (Sicilia)

LE VOCI FRA GLI STERPI
Cinquecento anni di spettacoli a Militello in Val di Catania
A cura di Salvatore Paolo Garufi v
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
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Un repertorio dei beni immateriali
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
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Feste religiose antiche
di Salvatore Paolo Garufi
La Settimana Santa.
Cominciano a partire dal Seicento le notizie sulla Settimana Santa a
Militello, che con non pochi cambiamenti e semplificazioni continua
ancora oggi.
Una tradizione antica vuole che la pietà popolare per la morte del
Cristo cominci il Mercoledì delle Ceneri. Fino a non molti anni fa, sopra le
“balate” della stradina che porta alla Chiesa del Purgatorio veniva appeso
ad un filo un pupazzo raffiugurante una vecchia, con infilate sette penne
di gallina. Poi, ad una ad una, le penne venivano tolte ogni Venerdì di
Quaresima.
In ogni caso, non v’è dubbio che il preludio della Settimana Santa sia, da
sempre, la predicazione quaresimale. Pietro Carrera, storico secentesco, ci
informa che il Predicatore svolgeva la sua opera a Santa Maria, tutti i
Sabati e nella seconda e quarta settimana.
Poi, intervenne l’accordo per cui si predicava in Santa Maria nella
prima e nella seconda settimana continuamente, mentre la predica
dell’Annunziata veniva fatta nell’omonima Chiesa, così come quella di San
Benedetto. La Predicazione della Bolla della S. Crociata, che durava tre giorni,
veniva, invece, fatta in San Nicolò. Poi, la prima Processione delle Vocazioni,
che si faceva di lunedì, andava a San Pietro; la seconda, di martedì, a San
Giovanni; la terza, di mercoledì, a SantAntonio Abbate.
Nella Domenica delle Palme la processione andava a S. Antonio Abbate,
ma non entrava in chiesa, per cui si apprestava l’altare nel piano davanti
alla porta sud e lì si recitavano le antifone in versetti e le Orazioni del Santo.
Dopo, partiva la processione che, passando dietro San Pietro arrivava nella
piazza davanti alla Chiesa Madre di San Nicolò. Qui il Clero ed i
parrocchiani di San Nicolò entravano nel tempio, mentre il Clero ed i
parrocchiani di Santa Maria se ne scendevano verso la loro chiesa. Quindi,
tutt’e due le comunità, ognuna per i fatti propri, celebravano la Messa ed il
Passio.
Fino a pochi anni fa le solennità cominciavano il Giovedì Santo (oggi il
mercoledì) nella Chiesa di Santa Maria della Stella. Il secentesco Gesù alla
colonna, scultura lignea di stile vicino a quelle di Fra’ Umile da Petralia,
viene tratto fuori dalla sua abituale nicchia davanti ad una grande
presenza di popolo. Dopo, un corteo silenzioso accompagna l’effige di
Gesù per le vie della città. Al ritorno, cento colpi di cannone rendono
lugubre il buio.
Allora, i fedeli, risalendo la via Roma, vanno nella Chiesa del Calvario. Lì,
stesa sul letto a simulare la Fine, trovano l’antica statua snodabile del
Cristo. Qualche devoto la veglia per l’intera notte, finché all’alba, secondo
la tradizione, ci si riscalda in sacrestia, al fuoco di un braciere.
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
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Il Venerdì, già di prima mattina, i confrati, vestiti di lunghi sai bianchi,
vanno al Calvario. La statua del Cristo viene portata sotto il portico della
Chiesa ed i preti cominciano la cerimonia della crocifissione, cosa che
immancabilmente dà spunto alle immaginabili ironie. Chiodi e tenaglie si
trovano su un cuscino ricamato, tenuto dalle verginelle. Con una lunga
fascia passante sotto le ascelle, la statua viene issata sulla croce. Ad ogni
chiodo che viene piantato, si sente il botto di una bomba, una bomba
particolare, chiamata miana, confezionata per l’occasione secondo precisi
canoni.
Nel pomeriggio troviamo l’apice della spiritualità, quando i confrati in
processione raggiungono l’Istituto delle Orfanelle, per prendere il nuovo
letto, quello dove si depone il Cristo Morto. Questo letto vuoto, che gira per
le strade del paese tra il tocco funebre delle campane, portando un brusìo
di funerale nella folla che gli fa ala, pare la raffigurazione dell’universale
destino ultimo.
Così, al tramonto la statua del Cristo viene scesa dalla Croce e portata
nella Chiesa di San Nicolò-SS. Salvatore, per essere seppellita. Con i confrati
vestiti di bianco ed i muri della via Roma punteggiati di rosso, si crea una
scena di sfarzo e di severità. La banda accompagna il corteo con musiche
di lutto, fermandosi alle stazioni. Tradizionalmente importante è la fermata
della Firrera, per il canto del populameu.
Giunta in chiesa, la statua viene solennemente posta su un catafalco, in
cui spagnolescamente domina il colore rosso, e poi seppellita. Più tardi,
defluito il pubblico, essa viene riportata in gran segreto nella Chiesa del
Calvario.
Ma, neppure in questi giorni di morte ci si dimentica dell’antica guerra
che contrappone le due parrocchie della città, Santa Maria della Stella e
San Nicolò-SS. Salvatore. C’è, semmai, una semplice tregua, con tanto di
antesignana par condicio. I mariani si prendono la solennità del Giovedì ed i
nicolesi quella del Venerdì.
Sulla tradizione del Venerdì Santo a Militello, in particolare, risultano
interessanti alcuni manoscritti presenti nell’archivio del Museo San Nicolò.
Questi documenti fanno pensare che l’attuale manifestazione sia lo
scheletro di un’antica Sacra Rappresentazione.
In ciò ci conforta l’idea che in qualche modo si sia continuata l’attestata
tradizione cinquecentesca (Carrera) di rappresentare la Passione di Cristo
nella piazza di Santa Maria della Stella.
Allora, lo spettacolo durava tre giorni e spesso la recita era in versi
siciliani. In quell’occasione i Rettori delle Confraternite maritavano una o
più povere “donzelle”, indi c’erano balli nella strada e nella piazza davanti
alla Chiesa “ragunandosi tutto il Popolo, poiché vi ballava l’istessa Sposa,
li parenti delli Rettori e le più belle donne della Terra, delle quali
riguardevole e singolar bellezza Militello n’è doviziosa”.
Non sappiamo perché col tempo sono scomparse le parole dalla recita
del Venerdì Santo. Nei copioni ritrovati, comunque, risulta notevole la
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dimensione popolaresca dei personaggi. Maria ed i Santi che la
contornano pensano e parlano secondo pregiudizi che oggi sarebbero
inammissibili. L’ingiuria nei confronti degli ebrei è violenta e continua. Ciò
inquieta particolarmente, dato che una zona vicina alla città si chiama
Chian’e furchi, forse perché vi furono impiccati degli ebrei. Notiamo,
ancora, che i santi non soltanto hanno espressioni poco cristiane nei
confronti di chi ha ucciso Gesù, ma sono davvero dei benpensanti. Nei loro
giudizi è assente ogni pietà cristiana, specialmente quando si riferiscono ai
ladroni compagni di Gesù. La più antica opera datata è del 1749 e ne
esistono diverse varianti (alcune precedenti).
Altre feste religiose.
Già nel XVII° secolo, inoltre, erano di notevole interesse le due feste
patronali, quella di San Nicolò (oggi sostituita da quella del SS. Salvatore,
che si celebra il diciotto agosto) e quella della Madonna della Stella, che cade
l’otto settembre.
In queste occasioni si poteva (e si può) davvero dire che la città
diventava (e diventa) un universo di diecimila secoli manzoniani l’un
contro l’altro armati. Ancora ai giorni nostri, con corale tifoseria si svolge
una sentita competizione fra le celebrazioni nicolesi e quelle mariane. Vince
chi addobba le strade con gli archi più luminosi, chi porta il cantante più
conosciuto, chi spara i migliori fuochi d’artificio.
La gara che appassiona di più è l’ultima. L’intera comunità sta a contare
le ripetizioni, le spaccate, le napoletane che si susseguono nel cielo. Per
denigrare il fuoco degli avversari, i membri dei due Comitati dei
festeggiamenti si abbandonano a veri e propri bizantinismi sul rumore più o
meno “asciutto” delle bombe.
Tanta passione non può che essere antica. Nel 1611, infatti, il Principe
Branciforti pensò bene di pubblicare un bando per regolare la “solennità di
nostra sig.ra Maria della Stella”. In esso si ordinava ai soldati di uscire con
la divisa e le armi dei dì solenni, sotto pena per i contravventori di una
multa di sei tarì e di quattro giorni di carcere. Inoltre, si ordinava ai
creditori di non importunare i loro debitori per tutti gli otto giorni di
festeggiamenti.
Si ha, ancora, notizia che nel ‘500 e nel ‘600 in onore della Madonna si
correva un palio e si svolgeva una fiera, a cui accorreva la gente delle città
vicine. Inoltre, si ha la copia di una ricevuta datata otto settembre 1628,
dove si davano un’onza e diciotto tarì a Giuseppe Pitradilo di Palazzolo,
per uno spettacolo di equilibrismo sulla corda, dal campanile di Santa
Maria al piano sottostante.
Purtroppo, già nel ‘600, il Carrera accennava anche ai guai connessi alle
lotte di campanile, parlando della diminuzione della popolazione per
“causa delle molte inimicizie, che allora v’erano, pelle quali seguì la briga
grande…”
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Altre feste di secolare tradizione che si possono ricordare, basandosi
sull’autorevole testimonianza del Carrera, sono: Il Corpus domini, nella
quale di mattina il Beneficiato di San Nicolò aveva la prerogativa di cantar
messa in Santa Maria ed al Beneficiato di Santa Maria toccava l’Ufficio
serale in San Nicolò; l’Assunzione, alla celebrazione della quale concorreva
tutto il Clero, alternativamente un anno in Santa Maria e un anno in San
Nicolò; San Marco, con una processione che si recava in Santa Maria. In
quell’occasione i provetti raccoglievano l’elemosina, che poi andava al
Clero.
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Feste, privilegi e signorie
da Notizia di Militello del Val di Noto di Pietro Carrera
Il manoscritto si trova presso la “Sezione del Libro e delle Carte” del Museo
“Sebastiano Guzzone” di Militello. Nell’ultima pagina, a imitazione di un timbro,
v’è segnato: “Bibl. Franca Arcasatta / Raffaele Posdomani / – Roma – 1953.
(…)
Sappiasi che il Comune della Terra da ciascheduno ha il nome
d’Università, tale ancora si scrive ne’ contratti, lettere, ed altre scritture. Vi
aggiungo, che da 300 an. Addietro ora chiamasi col med.° nome di
Università, con il quale parim. negli stessi tempi era detta la Città di
Palermo, e di Messina.
Quanto all’ecclesiastico il vicario che rappresenta la persona del
vescovo in ogni funzione tiene il primo luogo di precedenza, il beneficiato
di S. Nicolò, il 2°, quello di S. Maria il 3°. Li sacerdoti anziani per
consuetudine antica precedono li sacerdoti dottori meno antichi. Il
beneficiato di S. Nicolò precede quello di S. Maria, come è detto, in tutte le
chiese, eccentuata quella di S. Maria della Stella e di S. Pietro, nelle quali il
beneficiato di S. Maria ha la precedenza. Il beneficiato di S. Nicolò nella
mattina della solennità del Corpo di Cristo Sig.r nostro ha prerogativa di
cantar la Messa in S. Maria. All’incontro il beneficiato di S. Maria nella
compieta del sud.o giorno tocca di far l’Ufficio in S. Nicolò in Militello, il
beneficio è l’istesso, che altrove l’arciprete o paroco(sic).
Nel dì dell’Assunzione del Sig.re tutto il clero concorre alla celebrazione
della Messa cantata. La qual solennità si fa alternativamente un anno in S.
Nicolò, l’altro in S. Maria, tocca a S. Nicolò quell’anno del millesimo che
ha il numero disparo come nell’anno 1633. L’anno che ha il n.ro pari, come
il seguente 1634, perviene a S. Maria. Nel g.rno di S. Marco la processione
va in S. Maria, però la limosina, la quale si raccoglie da quei che sono
presenti si distribuisce tra le persone del clero. Nella quaresima il
predicatore ha obligo(sic) di predicare in S. Maria per tutti li sabbati(sic), e
nella seconda, e quarta settimana; bensì alcuni anni per accordo si da la
predica a S. M.a la prima, e la seconda settimana continuatamene, nel resto
si predica in S. Nicolò. La predica dell’Annunciata in qualunque settimana
sortisca appartiene alla chiesa dell’Annunciata, che è de’ Padri Paulini.
Così ancora nel g.rno di San Benedetto si predica nella Chiesa d’esso
Santo. La predicazione delle Bolle della S. Cruciata in qualunque settimana
accada per tre giorni si fa in S. Nicolò. La prima processione delle
Rogazioni, la quali si fa nel lunedì, va alla chiesa di S. Pietro, dove si canta
la messa. La 2° che è nel martedì s’indrizza alla chiesa di S. Giovanni, ed
ivi si canta la Messa. La 3° che è nel mercordì si termina in S. Antonio
Abbate(sic), ove parimenti si celebra la Messa cantata. Nella mattina della
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domenica delle Palme la Processione va in S. Antonio, ma non entra nella
Chiesa, perciocché si acconcia un altare nel piano d’avanti la porta di
mezzogiorno, ed ivi si dicono l’antifone in versetti, e l’orazione del Santo.
Indi s’ordina la processione pella strada, che volta la Chiesa di S. Pietro,
della parte di ponente, e se ne ritorna verso la Madre Chiesa, però essendo
nel mezzo della piazza il Clero, ed i Parrocchiani di S. Nicolò tirano per la
Madre Chiesa, il Clero ed i Parrocchiani di S. M.a scendono alla lor Chiesa
laonde in ciascheduna di esse Parochie(sic) si canta la Messa con il Passio.
Non sarà fuori del nostro proposito se toccaremo alcuni casi tralasciati,
e scordati, li quali furono in vigore in tempo di Carlo Barresi Sig.r della
Terra, di Vincenzo suo figlio, e nel principio della Signoria di Catarina.
Solevano li nostri allo spesso fare rappresentazione dell’Atto della
Passione di Cristo, ciò si facea nel Piano di S. M.a della Stella, e durava p.
tre giorni, il componimento era disposto in versi di lingua siciliana. Di più
li Rettori delle Confraternite maritavano una, o più povere Donzelle, indi
nella Festa della Chiesa si celebravano li balli nella strada pubblica, o
piano d’avanti essa Chiesa, radunandovisi tutto il Popolo; poiché(sic) vi
ballava l’istessa sposa, li parenti delli Rettori, e le più belle donne della
Terra, delle quali riguardevole p. singolar bellezza Militello n’è doviziosa.
Questo uso durò insino al mio tempo.
Nella sera della vigilia di S. Antonio Abb.e, di S. Paolo, cioè della
conversione di lui, di S. Leonardo, di S. Sebastiano, nelle lor Chiese vi era
tanta frequenza di Uomini, e di Donne che tutta la notte si vedeano piene:
cantavano canzoni, e lodi spirituali, seguendone ancora diversi silenzi, e
giuochi; e poiché stassero agiatam.e quelle lunghe notti d’inverno, v’eran
condotte varie conche d’acceso carbone; inoltre li Rettori a comando del
Popolo avevano lastricato di tavole il suolo della Chiesa. Li Confrati di S.
Antonino invidiando questa solennità notturna poiché nella vigilia di S.
Ant.o di Padova, che è a 12 giugno tempo caldo, e notte breve non si facea
tale adunanza introdussero la festa di S. Blasi, e copersero ancora il
pavimento di conficate(sic) tavole per godere di simil festa di queste
adunanze Io ne ho memoria, ma la lasciarono, quando jo era Giovanotto.
Raccontano li Vecchi, che le Monache dell’Uno, e l’altro Monastero
conversavano indifferentam.e con ogni sorte(sic) d’Uomini.
Pure ne appartiene di far menzione, che in Palagonia, Terra vicina di
Militello pella distanza di quattro miglia, facendosi la Festa di S. Profitta
ogni martedì secondo g.no doppo(sic) Pasqua di Resurrezione, li Giovani
Militellesi a tempo de’ nostri Padri, ed anco al nostro andavano sovente
alla festa armati di Spada e Borchiero, non p. devozione, ma per mostrarsi
guerrieri, e rumoreggianti, laonde quasi ognuno di continuo
commettevano brighe notabili, ritornandosene feriti assai; ed avendone
anche feriti molti. Talvolta il disordine arrivò a grandis.mo eccesso, ne si
potte rimediare a tali errori. Vi andavano pure parecchi di Mineo, ed jo
sendo fanciullo ricordomi che ogni martedì la sera doppo(sic) Pasqua, il
popolo di Militello usciva fuori nel piano dell’Annunziata, per vedere
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coloro, li quali tornavano feriti da Palagonia. Oggi questa insolenza è
cessata in parte.
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Testi di antiche Rappresentazioni Sacre
di Ignoti
Il CALVARIO n.1
(Rappresentata nell’anno 1749)
Tutti i manoscritti da cui trae origine questa sezione sono presenti
nell’Archivio del Museo “San Nicolò” di Militello in Val di Catania (CT). Di
quelli riguardanti la versione n. 1, uno si compone di tredici facciate (formato
quaderno). In molte parti risulta di lettura difficoltosa. Si è, quindi, reso
necessario un continuo lavoro di collazione con un altro manoscritto, datato 1749,
che contiene diverse parti aggiuntive, ma che non presenta modifiche rispetto al
testo riportato sopra. Le parti in corsivo sono quelle non presenti nell’altro
manoscritto, probabilmente precedente. Si compone di quindici facciate (formato
quaderno). Le grafie dei due manoscritti appaiono diverse. Le varianti sono
puramente aggiuntive, tautologiche rispetto al contenuto o alla natura dei
sentimenti; oppure, frammentano fra più interlocutori alcuni monologhi; o,
ancora, inseriscono didascalie meglio specificate. Letterariamente, le varianti
presentano una maggiore audacia nei barocchismi. Pochi i ripensamenti
evidenziati dalle cancellature (forse, legati a dubbi interpretativi del manoscritto
più vecchio).
Interlocutori: Maria Vergine, Maria Maddalena, Maria Cheofe,
Giovanni, Giuseppe, Nicodemo, Misandro. Maria Vergine, Maria Cheofe,
Maria Maddalena si trovino ai piedi della Croce. Giuseppe e Nicodemo
sopraggiungono con la processione.
Principio dell’azione
GIUSEPPE: Fierezza assai distinta!
NICODEMO: Crudeltà senza esempio!
GIUSEPPE: Inaudita barbarie!
NICODEMO: Singolare empietà…
GIUSEPPE: Perfido eccesso
A DUE: Fu quest’oggi lo tuo, Ebreo perverso!
GIUSEPPE: Per Amor mio, per ricomprare un … (luogo?)
NICODEMO: Per salvar l’Alma mia, per batter i … (rei?).
GIUSEPPE: Sotto l’umano velo,
A DUE: Muore, fatto mortale, il Re del Cielo.
GIUSEPPE: Ahi! che in mirar spettacolo sì crudo
Sorpreso è questo cor da rio dolore.
NICODEMO: Ahi! che nel contemplar fatto si(mile)
Abbattendo quest’alma tu … (mi stai?)
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GIUSEPPE: Senza risparmio alcun…
NICODEMO: Senza cessare
A DUE: M’invita a far dell’occhi un vasto Mare!
MARIA VERGINE: Fido Giovanni, ohimé!
Qual con nuovi sussurri all’Alma mia
Fiero timor ritorna?
Qual più va machinando (sic)
Di stragge (sic) al figliol mio l’Ebbreo (sic) Crudele?
Di’ pur: chi sono questi,
Che pressatesi a Noi,
Ne’ lamenti alternati,
Sembran commiserar con pianto rio,
La sciaura comun, lo stato mio?
S’eglino sono Ebrei,
A tenor del mio duolo, io li direi (cancellato: posso dirli)
Coccodrilli spietati!
Che, uccidendo il mio Bene,
Quel che è tutto di me, l’Anima mia,
Par che, non pago ancòra il lor furore,
Con spietata pietà piangon l’errore.
E s’Eglino perversi,
Non sazi ancor d’avermi ucciso il figlio,
Tornan contro lo stesso,
Per satollare le spietate voglie,
Pregoti, o mio Diletto,
Che alla gran rabbia lor me stessa esponi,
Perché si dica alfin che in compagnia,
Morto il figlio Gesù, mora Maria!
GIOVANNI: Non (sic) no, Madre Pietosa,
I palpiti del cor cessino affatto.
Questi ch’ora mirate
Non son nemici, no, sono in effetto
Dell’esangue mio ben, del figlio vostro,
Discepoli fedeli.
Giuseppe à l’uno e Nicodemo è l’altro;
E mi sembrano entrambi,
Che qui si siano portati,
Per distaccar da quel spietato legno
L’Amato mio Signor, l’unico pegno.
MARIA CHEOFE: Si, si. Tant’esser deve
Mentre dai loro accenti ho ben compreso
Metodi di pietà, senzi (sic) d’affetto.
E, se manca la tomba in cui posarsi
Debba l’esangue corpo, io vi prometto
Per bara questo sen, per urna il petto!
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MARIA MADDALENA: Ed io che farò mai? Ahimé, dolente!
Io, che la causa fui coi miei peccati
Di far morire il redentor dell’Alme,
Neghittosa starò?
Non (sic), no! Che, se per me ei patì tanto
Giust’è che si distempri il core in pianto!
MARIA VERGINE: Figlio! Ahi, nome! Ahi voce!
Che qual acuto strale mi svena il core!
Figlio, dicevo, figlio!
Lume dell’occhi miei, dolce respiro
Della Madre dolente!
A me Cheofe ed a te pure congionta
Ti preparava, amorosa,
Per bara il sen ed il petto suo per urna!
Maddalena pietosa
Vuol col pianto formare un mar di duolo!
Ed io, l’Addolorata,
Che per l’occaso tuo, sol dei miei giorni,
Fra le donne dolenti e madri afflitte
Posso vantar la maggioranza, il soglio,
Qual ti darò conforto?
Ahi, figlio! Ahi, figlio dolce!
Se le viscere mie, che culla furo
Alla tua Deità, Tu non abborri,
Vuo’ che fussero ancor del corpo tuo
Esaminato (o: Disanimato?), esangue… orrida tomba!
Che giusto e ben (ahi, rimembranza acerba!)
Che dell’Autore della vita sia
Animato sepolcro oggi Maria!
GIUSEPPE – NICODEMO: Addolorata Madre!
GIUSEPPE: Umile a’ cenni tuoi,
Ecco servo fedel, ecco Giuseppe.
NICODEMO: Riverente al tuo piede,
Ecco perpetuo schiavo un Nicodemo.
GIUSEPPE: E’ ben vero, signora,
Che funesta caggion oggi prescriva
Effetti di dolore al mio dovere;
Io non di men t’accetto
Che saran sempre vive nel mio core
Del morto mio Gesù l’opre e l’Amore.
NICODEMO: Ed io pur t’assicuro
Che, se per amor mio su questo tronco
L’Amato figliuol tuo lasciò la vita,
Impiegato vedrai
Per Gesù, per Maria,
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
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Tutto me stesso, il cor, la vita mia!
GIUSEPPE: Per lo che ti scongiuro
Che dassi tregua al duol, Madre dolente,
E che ci concedessi
Dell’Estinto tuo figlio,
Del dolce mio Gesù, l’esangue corpo,
Per dargli sepoltura;
Che non è ben che qui sospeso resti
Per accrescerti doglia e più tormento,
Oggetto di ludibrio, al freddo, al vento.
MARIA VERGINE: Al’opre di pietà che neco usate
Facci l’eterno Padre
Con sua libera man giusto compenso;
E, giaché (sic) voi bramate
Seppellire il mio ben, io vel concedo.
Ma, che dissi? Ahi, meschina!
Figlio! Figlio Gesù, Tu che rispondi?
Ahi, no! Che il figlio amato, ancor che morto,
Della mia crudeltà par che si lagni
E dica fra se stesso in mute note:
Se l’ebreo contumace
Morte mi die’ per soddisfar mio Padre,
Mi comanda alla tomba oggi mia Madre!
GIOVANNI: Sconsolata signora,
Cruda necessità di tor da vista
All’Ebraico furore il Corpo Santo
Del nostro buon Gesù più non permette
Che passi il tempo in soddisfar la doglia (o: dolce?)
Tenerezza d’affetti!
Onde convien, Signora,
Che al voler di là su consente affatto!
Il voler vostro resti
Con permetter che sieno
Le lacerate membra di Gesù,
Del mio dolce Signor, del mio Maestro
In convenevol tomba oggi sepolte!
Poi che, per non subir coi delinquenti
(Insepolto restando) ugual la sorte,
Stimai assai decente
Che goda almen sepolcro un innoccente!
GIUSEPPE: Sì, sì. Fa’ che non resti
Isepolto per te quel sommo bene,
Che, nel mirarlo estinto,
Agonizzar mi fa, tra un mar di pene!
NICODEMO: Sì, sì. Fa’ che si smorzi
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
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L’Ebraica forità, ch’ancor rimbomba,
Che giunt’è ben che dia
Al nazareno Gesù pace la tomba!
MARIA VERGINE: Dubbio non v’è, diletti,
Che convenevol sia si seppellisca
Del mio figliol Gesù l’esangue Corpo!
Ma, riflettendo poscia
Che, vedovato il cor d’un tanto Bene,
Privo debba restar l’occhio dolente
Della Madre Meschina, in non guardare
(Ben vero ch’ecclissaro) il mio bel Sole
Non ho mezzo bastante
Con che consoli l’Alma mia spirante!
Ad ogni modo, o fidi,
Giaché (sic) così v’aggrada, abbiate il corpo,
Mentr’io mi pasco, intanto,
Fra dogliose agonie d’amaro pianto!
MARIA CHEOFE: Maddalena! Già, già il nostro bene
Fra breve si darà,
Sì lacero (cancellato: Tutto lasso) e dimesso
Nelle braccia alla Madre!
E, se ben la dolente
Figurar nol potrà se sia suo figlio,
Col volere di Dio
Confortar dobbiamo in questo mentre,
Purché il dolor nel petto suo si stempre!
MARIA MADDALENA: Sì, sì. Io sarò quella
Che a tal funebre vista,
Data in preda al martìre,
Piangendo, ne starò sino al morire!
E voi, fedeli Amici,
Per tranquillare alla dolente Madre
Un tantino il dolore
E per togliere affatto
Dalla vista feral dell’Empio Ebreo
Il morto mio Gesù,
Fate che non v’arresti altra dimora,
Mentre propizia a noi si mostra l’ora!
GIUSEPPE – NICODEMO: S’alzin dunque le scale!
GIUSEPPE: E mentre, Nicodemo,
T’accingi ad adattar la fascia bene
Al corpo di Gesù,
Mi preparo all’istante
Ad ischiodar le sue sacrate Piante!
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
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(Mentre Nicodemo fa accomodare le scale e Giuseppe s’avvicina per
schiodare i piedi, sopraggiunge Misandro a cavallo, poco distante
dall’azione, interrompendola).
MISANDRO: Ah, ribaldi, fellon! Dunque, sì tosto,
Posto il vostro natal detto in non cale,
Distaccar da quel legno oggi intendete
Un morto dall’Abisso,
Un Mago Ipocriton, già crocifisso?
E via!… Cambiate omai
Voluntate e pensier! Ché non conviene
La propria nobiltà che c’ostentate
In azion sì vil tanto abbiettare!
E sovvengavi ancora
Che, se voi pertinaci
Contro il dritto e dover tanto farete,
Non converrà al mio braccio
Ritardar le vendette!
Anzi, farò che ceda ognun di voi,
Per conservar le leggi al primo onore,
Vittima esanimata, al mio furore!
GIUSEPPE (cancellato: GIUSEPPE – NICODEMO): Misandro, a dirti il
ver, legge che vieta
Adoprar la pietà sempre è tiranna!
(Qui, cancellato: GIUSEPPE) Ad ogni modo… Senti,
Finiamola, omai! Tu sol pretendi
Che il buon Gesù restasse in croce appeso
Ed io ad onta tua, aggiunto
Col fido Nicodemo, lo schioderò!
E, se io m’incanti (il che non è già mai)
In opre di viltà, come l’intendi,
Lascia che il mondo tutto
Dichi contro di me quanto l’aggrada!
Ché per immortalare il Nome mio
Basta che l’opre mie l’approvi Dio!
NICODEMO: Se poi coi tuoi schiamazzi,
Mostro d’umanità, tigre umanata,
Procuri intimorirci, assai t’inganni!
Poi che solo soggiace al tuo furore
Pusillanime il volgo e non comprende
Un magnanimo cor timore alcuno!
Si schioderà Gesù, quel Nazzareno,
Dal legno ove ne pende!
Io col caro Giuseppe
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
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Omai seppellirollo a tuo mal grado!
Tu, se puoi contraddirci,
Adopra il tuo furor, maneggia l’ire!
Ché alfin vindice un telo
Basta che scocchi a sterminarti il cielo!
MISANDRO: Ah, perfidi ed indegni!
Inimici del Ciel! Rubelli a Dio!
E non forma la terra
Più voragini a un tempo, ad ingoiarvi?
E dal centro del fuoco ancor si bada
(Oh, Dio delle vendette!)
A vibrar sopra questi, a cielo aperto,
Fuoco, fulmini e guai senza ritegno,
Tra severità, tuoni di sdegno?
Ma che, se noi protervi
Profanatori delle leggi eterne
Tollera paziente Iddio pietoso,
Io vi prometto e giuro
Che, svenando la vostra enormità,
L’ardir del braccio mio, l’Antico culto
Del mosaico Rito,
Che senza alcun riguardo in voi languisce,
Fine novell’ stabilirò col sangue!
Né mai potrà giovare al vostro intento
Di seppellir quel seduttore infame
L’irregolar permesso di Pilato,
Poi che Misandro invitto,
Contro di voi, contro lui, cinto di zelo,
L’istanze porterà sin sopra il cielo!
GIUSEPPE – NICODEMO: Servati come vuoi! Io nulla temo!
MISANDRO: Sì, dunque, pertinaci
Schiodate da cotesto infame legno
Quel corpo (nella versione antecedente: infame, vil, ch’abborre un
mondo!) vil ch’abborre un mondo intiero!
Sì, seppellite voi
Quell’immondo rifiuto della plebbe (sic),
Quel fellon seduttor, quel ladro indegno,
Che, morto, ancor di mille morti è degno!
(Verso i soldati).
Ma, nello stesso tempo, e ferro e fuoco
Vi conviene adoprar, fidi guerrieri!
Fiatansi omai le trombe
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
19
(Suonan le trombe).
S’accinga ognun a custodir quell’antro
Ove sepolcro avrà quel furbo audace!
Poi che vedremo alfin se può Misandro
Nel tenor di suoi sdegni
Le machine (sic) attentar di questi indegni!
Giuseppe? Nicodem? Perfidi! Parto
E vi assicuro ancora
Che l’arroganza vostra
Sarà senza uguaglianza alfin punita!
Giuromi di voi stessi
Sterminator tremendo!
E sin che durerà nel petto mio,
Vivo, in culla d’ardir, l’offeso core,
Vendette adoprerò, ire e furore!
(Marcia coi soldati).
GIUSEPPE: Barbaro! Disleal! Petto abbronzito!
NICODEMO: Crudel! Fiero tiranno! Empio! Perverso!
A DUE: Vanne! T’ingoierà l’inferno stesso!
GIUSEPPE: Fido, non più convien che scorra il tempo
Senza portar l’impresa nostra a segno.
NICODEMO: Eccomi accinto a soddisfar l’impegno.
(Giuseppe s’adopra per schiodar li piedi e Nicodemo sale le scale ad
accomodar la faccia al corpo di Gesù Cristo).
MARIA VERGINE: Ingiustissimo Ebreo,
Qual male in tuo danno
Il mio dolce figlol oprò giamai (sic)?
In che lo conoscesti
(Smemorato che sei)
Ladro, furbo, fellon, perfido, indegno?
Dimmi, dimmi, spietato!
E quando a tuo favore
Non stese egli l’arbitrio a consolarti?
E quando (ohimé, giamai! (sic))
Cessò teco d’usar la sua pietade?
E tu, senza raggione (sic),
Il dator d’ogni bene ladro ne chiami,
Furba la purità, fellone un Santo,
Perfido un giusto, indegno stimi un Dio!
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
20
Ahi, che a tanto mentore
Soffrir non posso più!… Io… me… ne…
(Sviene).
GIOVANNI: Ohimé, care sorelle!
MARIA CHEOFE – MARIA MADDALENA: Ohimé, fido Giovanni!
A TRE: Soccorrasi da noi la Madre Afflitta!
GIOVANNI: Sei sodisfatto, o Mondo?
Sei sazio, o peccatore?
Contenta è la tua voglia iniqua e ria?
Mentre morto è Gesù, muore Maria!
GIUSEPPE (dà inizio all’adorazione dei Sacri piedi): Ferro spietato e
crudo,
Cedimi! Cedi, omai!
E, se ardisti al mio Dio le sacre Piante
Ostinato forar con duol s’acerbo,
A trafiggermi il cor io ti riserbo!
(Fa figura di baciare i piedi e continua il rito della Deposizione, fino a
togliere il chiodo dai piedi del Cristo).
Dopo lunga fatiga (sic)
Reso s’è già l’infido e sconoscente!
Su! Prendi, Maddalena!
E tu, fido Giovanni,
Con la fievole destra,
Giaché (sic) cedette il ferro,
Da’ pietoso soccorso al Corpo Santo,
Ch’a ischiodargli la man m’accingo intanto!
(Va a salire, fino ai bracci della Croce).
GIOVANNI (nella versione antecedente: I DUE): Farò quanto m’imponi!
(Verso il popolo).
Stupisci, o peccatore!
Quell’Atlante divin, che l’Orbe tutto
Con un dito sostiene,
Eccolo imbelle alfin, sol per salvarti!
Quel Dio che tutto può, che tutto vale,
Fatto spoglia mortal, quasi impotente,
A soccorso mortal Egli soggiace!
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
21
Stupisci, sì! Ed ammira
Del Sovrano Motor la gran pietade!
Considera che sol per tuo amore
Morì su questo legno il Creatore!
GIUSEPPE (verso Nicodemo sopra le scale): Giaché (sic), mio Nicodemo,
Resta la fascia ben da te adattata
E uop’è dunque (cancellato: che) si dia
Al grande ufficio e pio
Principio, col schiodare il nostro Dio…
Deh! Piangi, empio mio core!
NICODEMO: Deh! Sospira, alma mia!
A DUE: Mentre che di te stesso il Redentore
Estinto vedi già, sol per tuo amore!
GIUSEPPE: Strale tiranno e duro!
NICODEMO: Chiodo senza vergogna!
(Battono il chiodo).
GIUSEPPE: Cedimi del mio Dio la man benigna!
NICODEMO: Seconda il mio voler! Cedi, spietato!
(Fanno forza).
GIUSEPPE: Che giust’e ben ch’adopri,
A DUE: Dandomi il mio Gesù caro e diletto,
Ogni tua ferità contro il mio petto!
GIUSEPPE: Già distaccossi alfin l’acuto acciaio.
NICODEMO: E questo pertinace anco resiste.
Ma, fa’ che vuoi! Le punte tue severe
Trofeo ne resteran del mio potere!
GIUSEPPE: Mondo, questa è la destra
Che l’essere ti die’! Mira, insensato,
Come vien resa già dal tuo peccato!
NICODEMO: Cambiò pensier! Alfin, cedette il ferro!
E tu, scemo mortale,
Desister non ti vuoi di tanti eccessi?
Mira, questa sinistra,
Ch’hai tradito col tuo tanto fallire,
La sentenza darà del tuo morire!
A DUE: Si via, si deponghi dal legno!
GIUSEPPE: E voi fedeli, intanto…
NICODEMO: E voi devoti, intanto…
Date del vostro duol segno col pianto (cancellato: canto)!
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
22
SEPOLCRO n. 1
Di questo copione si è trovata la parte di Giuseppe, introdotta dalle parole finali
delle battute immediatamente precedenti. Cfr. Archivio Storico del Museo San
Nicolò.
Gius: Ecco la fredda spoglia
Del Re del cielo; ecco il signor del tutto
Lacero, esangue, e senza spirto, e vita.
Oh barbara inudita
Ebraica tirannia! Chi lo vendette
A prezzo vil; Chi queste Sante membra
Aggrava di catene; altri il percote
Sul Divin Volto; altri di sangue un fiume
Con duri aspri flagelli
Dalle vene gl’aprì; né sazio ancora
L’empio furor della crudel Giudea,
Né di scherno il motteggia, e dure spine
Per diadema gl’appresta; un tronco infame
Sugl’omeri gl’adatta; indi a due ladri
In mezzo lo sospende, ed a tre chiodi
Tutto del corpo afflitto il grave peso
Crudelmente abbandona, e non si arresta
A si ferale orror; lo vuole estinto.
E’ morto già: cruda sionne ai(sic) vinto.
Nicod: Inorridisco e tremo.
Gius: Al fin qual ria vendetta
Giunge a tal passo? Il libico Leone,
L’iraconda Tigre, ah non si vide mai
Incrudelir su d’un estinto Agnello,
Anzi sdegna adirarsi, e questa, e quello.
Fu sovente la morte
Scampo allo sdegno, ed’all’invidia(sic) altrui.
Con questo si assicura
Di Caino il livore,
Con questa il suo timore
Sperò di cancellar l’indegno Erode.
Qual timor ti sorprende,
Che sul misero avanzo
D’un’empia crudeltà sfoghi lo sdegno
Il popol contumace?
Mad: …
A questo passo?
Gius: Io gelo.
Giov: Io son di sasso.
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
23
Gius: Augusta Donna, amiche‚, assai donaste
Al sangue, ed’all’amor, solo un momento
Si conceda al dover; tutta in un punto
L’anima si raccolga; è tempo ormai
Che la pietà risvegli al vostro core
Gl’ultimi estremi ufficj:
Convien degno Sepolcro al corpo estinto
Dell’amato Signor, pria, che s’esponga
Alla cruda licenza
Dell’infido Israele; ogn’alma è rea
D’un delitto sì nero; e se per duolo
Natura à già sconvolto
Sin da cardini suoi tutto il creato;
Sol L’Ebraico furor siegue ostinato.
Ma: Ssa: …
Abbandonar lo deggio?!
Gius: Più di querele
(Perdona afflitta Madre)
Tempo questo non è; qualche tumulto
Del popolo insolente
Potrà farci temere…
Mad: …
E fra ‘l timore.
Gius: Amico, al sacro avello
Su via, si tolga il sasso.
(Aprino il sepolcro)
Giov;, Cleof:, e Mad: Nostra guida sarà l’eterno Padre.
Gius: A questa estrema doglia
Più non regge il mio cor.
Nic: …
Gl’empiti del mio seno.
Gius: Patto non v’à che a tal dolor soccomba…
(Seppelliscono Cristo)
Gius;, e Nic: Si chiuda per Pietà la sacra Tomba.
(Chiudano il sepolcro. Partino le Marie. Restano Giuseppe, e Nicodemo:
Arriva Misandro, e Centurione)
Mis: …
D’ufficio indegno?
Gius: A quest’orrido segno
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
24
Non credea, che giungesse
La pervicacia tua: quando si squarcia
Dal santuario il vel; quando gl’estinti
Da j gelidi Sepolcri
Tornano a nuova vita: il Sol, la Luna
Di tenebre s’ammanta; e mal sicuro
Sotto alle piante ondeggia
L’incostante terreno; e quando alfine
Sin dagl’ordini suoi
La natura sconvolta, egra compiange
L’eccidio del suo Dio, del suo Signore;
Tu lo chiami malvagio, e seduttore?
Il sacrilegio labro(sic)
Avvezza a più rispetto.
Mis: …
Il mio disegno.
Gius: Vanne, mostro crudele; Avrai d’intorno
L’orror del tuo peccato.
Nic: …
Il ciel matura.
Gius: Gerusalem, Gerusalemme ingrata,
Piango la tua sventura; or già s’avvera
Il funesto presaggio; a terra sparse
Saran tue mura, e le superbe torri;
Distrutto il tempio; i sacerdoti uccisi;
Alla morte crudel la fame, il ferro
Apriran mille vie; l’orrido peso
Di schiavitute soffrirai dolente.
Ogni straniera gente
A dito mostreratti; ed’il Giordano
In vece d’onde cristalline, e chiare,
Trarrà il tuo sangue, ed il tuo pianto al mare.
Nic: …
E senza Tempio
Gius Ma noi fidi mortali
Nell’eccidio fatal gran parte abbiamo.
Questo è giorno di pace.
Si pianga il nostro fallo, e da quel sangue
L’innocenza primiera
A noi ritornerà.
Nic: …
Inondi il nostro error.
Gius: Sconfisse averno
La morte di quel Dio.
Nic: … il fio.
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
25
Gius: Adori ogn’Alma fida.
Nic: …
Umano core.
A due: L’amante Redentore.
Gius: Ché con sì acerba pena,
Nic: Ché con sì cruda morte,
A… Ci aprì del Ciel le gloriose porte.
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
26
CALVARIO n. 2
Di questa versione sono state individuate molte copie riguardanti le parti dei
singoli personaggi (specie quello di Giuseppe). Le parti in corsivo sono quelle che
caratterizzano nel senso della completezza il copione generale. Cfr. Archivio
Storico del Museo “San Nicolò”.
Interlocutori: Maria Santissima, Maria Gleofe, Maddalena, Giuseppe,
Nicodemo, Giovanni, Misandro. E poi Centurione.
Mentre sono al Calvario arriva Misandro con soldati e due manigoldi con
bastoni di ferro.
Mis: Principi, e qual caggion vi tragge in questo
Luogo infame e funesto? A voi non manca
Più nobil suol; si rende omai (sic) sospetta
Al Sinedrio non meno,
Che a Cesare, alla Turba
Questa vostra dimora
Gius: Un nobil cor,
Timor non à(sic), qualor pietoso assiste
Un’ innocente esangue.
Nic: Anzi allor quando
Non può serbarlo in vita
E all’esamine spoglie
L’estremo onor funebre
Generoso ne appresta;
Se tu non sai nobil virtute è questa.
Mis: Degna di lode invero
E’ la vostra pietade; io non contendo
Questa nobil virtù; solo la Legge
Adempier mi conviene; quest’empio ingannatore
Fu dannato a morire; il nostro rito
Eseguiscasi, o prodi,
Colla ferrata mazza
Al seduttor malvagio(sic)
Com’è costume le marcite gambe.
Gius: Tanto ardir non avrai perfido indegno.
Nic: Scostatevi o v’uccido.
Mis: A questo segno
L’insultano i ministri? Orsù Campioni
Eseguite il comando.
Gius (tira la spada): Chi accosta, proverà vindice il brando.
Mis: Qual timore v’affrena? Orsù, codardi
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
27
Infrante infrante (sic) l’ossa
Per dare in mille schieggie (sic)
Allo schifoso avanzo
D’un ribelle perverso; il cenno mio
Eseguite suvia (sic),
Che questo acciar ve ne aprirà la via.
(Tira la spada)
Gius: Temerità inudita.
Mar SS: De qual dardo ferale,
Qual colpo inaspettato in me s’avventa?
Dunque contro il mio sangue
Son dall’Ebreo furore j sdegni eterni?
Ancor di vita privo
Sarà di crudeltà scopo e bersaglio?
Io tremo a tanto orrore
Ogni vena mi gela e manca il core.
Nic: O sacrilego insano
O scellerato ardir! Anima indegna
Che pretendi alla fine?
Mis: Quella legge eseguir che tu perverti.
Gius: E che legge è mai questa
Che fin gl’estinti oltraggia iniqua e fella?
Nic: Massima crudeltade anzi s’appella.
Mar.SS: Qual tiranno piacere
Misandro mio diletto
Stimola il tuo furore
A si cruda pienezza? Il figlio mio
Di’, qual fallo commise?
Benefica lo vide
Tutto Isdraele (sic), eppur l’odio malnato
Doppo mille tormenti
Lo confisse ad un legno, infin che l’Alma
Sul patibolo rese, altro non miri;
Che lacero, ed esangue il morto frale
Qual inumano core
Incrudelir può mai
Contro un misero estinto? Ah, se il tuo sdegno
Se sfogar l’ire tue forse pretendi,
Immergi in questo seno
Il tuo ferro fatal, squarcia, dividi
Queste viscere mie; deh questo sangue
Appaghi il tuo furore.
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
28
Mis: Ah, madre infame
Di quel mago fellon, tu ancor presumi
Regolare il mio zelo?
Piomberà sul tuo crin l’ira del Cielo.
Ministri ancor sì lenti
Quanto imposi adoprate, jo così voglio.
Mar. Cheof: Che barbara agonia!
Mar. Mad: Che cor di scoglio!
Gio: Deh, per pietà Rabbino
Disseta il tuo rigor, j nostri patti
Sia scudo all’ire tue; lascia…
Mis: Ancor voi
Voi perfidi seguaci
Del Nazareno infame
Proverete la morte, ah no non resta
Cesare invendicato.
Nic: Queste son di Misandro
Le magnanime imprese? E questa è forse
L’eroica sua virtù? Si sfogan l’ire
Con l’infelice spoglia
D’un estinto innocente? Usa più tosto
Nel supremo poter di cui t’abusi
La raggion, che perdesti.
Mis: A quest’eccesso
Principe sconsigliato
Giunge la tua arroganza?
Così così t’opponi
Di nostre Sante Leggi
Al giustissimo rito, un dì vedrai,
Vedrai con tuo condoglio
Quanto ti costa un insensato orgoglio.
(Arriva Centurione)
Appunto invitto Duce.
Giungesti a vendicar lo lo zelo mio,
Un mosè vilipeso
Un Cesare sprezzato.
Cent: Qual tumulto? Che avvenne?
Gius: Duce, la tua virtute
Un(sic) scellerato affreni
Mostro di crudeltate. Il tuo sembiante
Abbastanza appalesa il cor tiranno.
Di Cristo in duro affanno
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
29
Senza menoma colpa al fine estinto
Cerca il perfido indegno
Le lacere spezzar gambe adorate.
E ‘l feroce attentato
Chiama di nostra legge un giusto zelo.
Cent: E ‘l suol non s’apria? E nol punisce il Cielo?
Ecco amici ‘l mio braccio, ecco il mio sangue,
Se versarlo è bisogno,
Tutto lo verserò.
Mar:SS: Sento nel petto
Rinvigorir la speme, e veggo un raggio
Della tua fedeltà nel tuo coraggio.
Mis (parla a centurione): E tu così difendi
Del mio zelo L’onor? contro dell’Empio
Gridan le Leggi, il Popolo congiura,
Tremano j sacerdoti; e sol tu sei
A favorire j rei? con loro a parte
Proverai di più pene il fier conflitto,
Se complice ti veggo al gran delitto.
Cent: E bene, dunque la legge
Tu pretendi adempier? Dunque il tuo Zelo
Essercitar pretendi? Or senti, e ‘l guardo
Sostieni, se tu puoi, tutto il rossore
Dalle guancie deponi. Un che non ebbe
Che falsi accusatori, un che convinto
Mai non fu di misfatto, un giusto, un Dio
Si condanna a morir, ne ‘l zelo tuo
Si muove a tale orrore; ad ogni dritto
Di raggion si dispensa, al suo morire
Precede ogni tormento, il suo delitto
Fu l’innocenza sol, gl’estremi eccessi
I beneficj suoi, tosto si dona
De Popoli al furor, Lo vuole estinto
L’odio de Sacerdoti,
Il fiero invido (infido?) sdegno
De farisei, de scribi, e lo condanna
Del preside il timore, e quella legge
Che dissimuli allora, e non difendi,
Contro un’estinto esercitar pretendi?
Mis: E dove mai vi legge
Così barbara Legge? I nostri riti
Non impongon giammai sì grave eccesso.
Nic: Ne Cesare, o Mosè l’à mai permesso.
Mis: Dunque tanto s’avanza
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
30
La tua temerità? Chiami innocente
Un reo di mille colpe? Infidi appelli,
E di mera calunnia indegni autori
Anco j sacri ministri? Ingiusto vuoi
Un Preside, che adempie
Di Cesare le veci? E quanti in uno
Orribili delitti! Odimi, e trema.
Potrei con questo ferro
Il tuo orgoglio punir, punir quest’empi;
Ma al Consiglio, ad Augusto
Si serbi la vendetta; a loro, a loro
Ridir saprò, come sprezzasti ardito
La giustizia, e l’onor del Sacro rito.
De’ tuoi folli trasporti
Allor ti pentirai, quando sul capo
La bipenne fatal vedrai votarti.
Cent: Non temo il tuo furor.
Gius (a Misandro): Deh taci e parti.
Mis: So, che da voi s’ostenta
Magnanimo coraggio;
Ma i palpiti del core, i tronchi accenti,
E quel pallido viso
Son del vostro delitto
Un ben chiaro presaggio, orsù seguite
Vostri insani disegni, io non vel privo,
Adempite protervi
Vostra pietosa cura,
Ch’è l’estrema per voi nera sventura
Gius: Ah sconsolata Donna, in te si desti
Generosa virtù. L’acerbo duolo
Un momento sospendi. E’ tempo al fine
Che da quel duro legno
Si deponga il tuo germe.
Nic: Ah si permetti
L’opera nostra pietosa, e tergi il ciglio.
I rapaci avvoltoi, gl’ingordi lupi
E le affamate belve
Rispettano quel sangue; il solo ebreo
Cresce nel suo fallir!
Mar:SS: Ma dove o fidi
Quelle adorate membra
L’estremo suo riposo
Alla fine otterran?
Gius: Tutto è disposto.
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
31
I balsami odorosi, un nuovo avello
Ed un candido Lino, i nostri affetti
An(sic) per Lui preparato.
Mad: Ah mi si squarci
Il mio dolente seno,
Sì questo petto accolga
L’adorabile spoglia… oh Dio… ma come
Inaccorta vaneggio! ah non alberga
In cor superbo, e vile
Il Re del Ciel sino alla morte umìle.
Perdona eterno Padre
Il mio pietoso ardir, mentre col pianto
Compenso il mio delitto.
Ah sì v’intendo
Rimproveri crudeli! Indegna tomba
Saria questo mio core
Ingrato, e disleale: an più raggione(sic)
Di meritarlo gl’insensati marmi.
Cleof: E’ vero, è vero; allor, che ‘l Redentore
E sale la grand’alma in braccio al Padre.
Le dure alpestri rupi
Spezzandosi fra Loro
Mostraron il suo duol, solo ostinata
E’ La perfidia umana.
Mar:SS: Ah, che gl’ingrati
Costano un tanto sangue!
Un Giuda Lo tradì, quando alla cena
Amoroso l’invita, allor, che i piedi
Più col pianto gli bagna, allor che in cibo
Gli dà tutto se stesso; un Pietro il niega
Sol per vile timore, al fiero asfalto
L’abbandona ogn’amico; il rammenta
Che chi prova l’eccesso
De beneficj suoi,
Sconoscente cospira
A si barbara morte,
Fa il mio maggior tormento.
Gius: Amici, il tempo
Non si spenda in querele;
Giù dall’alte pendici
Cadon l’ombre notturne.
Nic: Eccomi accinto,
All’alta di pietà nobile impresa
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
32
(sale le scale)
Ahimè qual giusto duolo in questo seno
S’accresce in ogni grado! Il mio peccato
Da presso mi rinfaccia.
Gius: Ah che più viva
Si rende la mia pena, or che s’appressa
A queste afflitte Luci
L’effetto del mio fallo.
Cent: Da me riceve
Gl’ultimi ancor pietosi uffici.
Giovanni ascolta
Con Misandro a partir mentre mi affretto
A trattener rimanti
La sconsolata Madre. Il suo dolore
Funesterebbe ogn’alma. Del figlio assai
Assai tenera fu. Se forse eccede
Compatiscila amico. Alfin da lei
Una grande costanza
In questo amaro passo
Pretender non si può. In la consiglia,
D’ispirarle procura
Con l’esempio fortezza,
La reggi, la consola e seco adempi.
Nic: Oh Dio piangete
Pupilli abbandonati; ecco perdeste
Il più tenero Padre; or chi di voi
Cura si prenderà? più non avrete
Chi vi dispensi il pane, chi sazie renda
Le fameliche voglie: il dolce sposo
Afflitte Verginelle
Estinto è già per voi; Più non sperate
Le tenerezze sue, lacrime amare
Sono il vostro retaggio; è già perduto
Vedove sconsolate il vostro asilo?
Chi a vostri oscuri giorni
Darà lume, e ristoro? Ah sol vi resta.
Per funesto compagno un rio dolore,
Si stempri o sventurate in pianto il core
Su dolenti Pastori il vostro duce
E’ morto già, giungano al Ciel le voci,
I queruli clamori.
Vittima, e Sacerdote
Su quest’orrido altare
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
33
Spirò Sacri ministri
Il Pontefice sommo, il sommo Nume,
Scorra dagl’occhi vostri un caldo fiume.
Gius: Sparì la bella Luce,
Che al popolo smarrito
Le notti rischiarò. L’eccelsa verga
In fonte di salute
Più non apre i macigni, il Mediatore
Tra la morte, e la vita, il Figurato
Verace Giosuè, L’arca, la tromba
Che Gerico distrusse, a’ nostri sguardi
Già invisibil vi rese; e c’à(sic) lasciati
Dispersi, abbandonati
In mezzo a gente infida
Soli senza consiglio, e senza guida.
Nic: E’ questo il nobil serto,
Che al re de reggi à coronato il crine.
Barbare acute spine
Qual delitto puniste? E’ forse rea
Questa adorata fronte
De providi(sic) consigli,
Delle cure solecite(sic) amorose,
A’ favor de’ mortali? Ah no, l’orgoglio,
E La superbia altera
Dell’umana arroganza, ah questi furo
I fieri dardi, che le sacre tempie
Trafissero spietati.
Gio: L’acerbe aspre punture
In quell’augusto capo, j rei pensieri
C’insegnano a fugar.
Mad: Si Le mie colpe
Di fatto, ad alterezza un tal dialema
Mertano con raggion; mi si conceda
Un favor si distinto.
Mar:SS: Ah no, del duolo
La regina son io, su questa fronte
La corona s’adatta, e se la cruda
Inumana fierezza
Nuove spine apparecchia, ah per pietade
Perdoni al morto figlio, in me s’avventi
Cadan sul capo mio mille tormenti!
Cleof: Questa salda costanza
Sia d’esempio per voi ne’ casi avversi
Anime timorose, in voi s’imprima
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
34
L’eroica sua fortezza,
La tolleranza sua!
Gio: Ecco il ferro
(schioda j piedi)
Che libera rendette,
La nostra schiavitù; Le sacre piante
Che barbaro inceppò, scisse j legami
Del servaggio crudele,
Ch’oppressi ci tenea.
Gius: Questa è la destra
Che onnipotente a un tratto
(schioda la destra)
Formò la terra, il ciel; Lo scettro è questo
Che la perfidia ebrea rese al suo Dio!
Giov: L’ingordo empio desio
Dell’umana avarizia, ah la gran piaga
Impose, e caggionò; ma ‘l grande amore
Del nostro Redentore in questo giorno,
Con sì fiero strumento
A favor degl’ingrati
Segnò il decreto eterno
Aprì l’alta maggione, e chiuse averno.
Mis: Dopo un pegno sì grande
D’amore, e di pietà, non abusarti
Perfido ingrato cor, piangi, sospira,
Riconosci il tuo fallo; ah! questa mano
Sciolse le mie catene.
Cleof: Da questa può sperarsi ogn’alto bene.
Nic: Ah! Che mi piomba in seno
La sentenza fatal del mio fallire!
De fulmini, e dell’ire
Questa è la sacra palma; il duro chiodo
Ardito la trafisse; il mio dolore
Sprigionarla m’addita,
E ove morte sperai, trovo la vita.
Gio: Questa tremenda mano
Ogni petto ammaestra, in lei s’apprende
Generoso perdon; scaccia dal core
La rimembranza sua
Ogni cruda vendetta,
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
35
Ma sarà contro j Rei fatal saetta
(Scende il braccio del Cristo)
Mar:SS: Voi peregrini erranti,
Che per la via passate,
Fermatevi, e guardate
In questo afflitto core,
Se v’è dolor, che uguagli il mio dolore.
Gius: Madre, dolente madre, il sol già cade
Insepolta non lice
Lasciar l’estinta spoglia al nuovo giorno;
Destinato è al riposo.
Gio: Ah Madre…..oh Dio!….
Mar:SS: Madre mi chiami, e di chi son più madre?
Estinto è ‘l figlio mio, l’unico pegno
Delle viscere mie.
Gio: In noi ravvisa
Il figlio, che perdesti; il gran decreto
Là ne’ volumi eterni,
Così ‘l Padre dispose.
Mar:SS: Adoro umile
Il volere del Ciel; ma questo amplesso
Mi si conceda almen; l’ultimo addio
Mio germe è questo ah che un mortal dolor
M’aggrava l’alma, e mi trafigge il core.
Nic: In questo amaro caso
Non à cor, chi non piange; jo da miei lumi
Dolente verserò perenni fiumi.
Gius: A spettacoli sì crudo
Qual petto non si muove? Ah che nel seno
Sento scoppiarmi il core.
Cent (poi cancellato): E non m’uccidi
Debole mio dolor?
Giov: Da questo sangue
Si Lava quella macchia,
Che dell’impuro fonte in te deriva
Crudo mortale; ma grato, e non superbo
Ti renda il suo favore.
Quant’è più grande il dono,
Chi n’abusa è più reo; pensaci, e trema.
Gius e Giov: Del redentor lo scempio
Reca salute al giusto, e morte all’empio.
Fine del Calvario
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
36
SEPOLCRO n. 2
Nel manoscritto le parole in corsivo sono riquadrate (o, più raramente,
cancellate). Cfr. Archivio Storico del Museo S. Nicolò.
M.Verg: Figlio, diletto figlio e non è questa
L’amata chioma tua, che di splendori
Inpoveriva(sic) il sole?
Com’or (ohimé, dolente!) io la rimiro
Inzuppata nel sangue? E, quel ch’è peggio,
Senza legge ordinato il tuo bel crine?
Un serto la trattien d’acute spine!
(Gli toglie la corona di spine)
Sì, si! Cessano i crudi
Di tormentarmi il figlio!
Che soffrir non può più! Egli è già morto!
E se del sangue tuo sazi non siano
Circondatemi il capo!
(Ne bacia il capo)
E trafiggete senza alcun periglio
La Madre afflitta in spregio(?) del suo figlio!
Gius: Ohimè, pietoso cielo! Come permetti
Che a tal spettacolo io sopravviva?
E come avrò, meschino,
Tanto ardir, tanta forza,
Che possa tollerar dolor sì acerbo?
E come mai, Signore,
Con temerario sguardo,
Senza portarmi al core sìncopi eterne
Oserò di mirarti, esangue, estinto?
Ahi, diletto Gesù, Re dell’empiro!
A che lasciar l’afflitta Madre tua
Nella tutela mia?
Giaché (sic), senza di te, che solo sei
Per la strada del Ciel la sinecura (?),
Sarò nel mar del mondo,
Ch’è sempre affluttuante,
Nave senza nocchier, pilota errante!
M.Mad: Mia diletta Signora,
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
37
Madre sconsolata,
Piaccia all’alto motor, al sommo,
Mitigare alla fin nel nostro core
Li replicati spasmi, il duol tiranno!
E, se per il mio peccato oggi ravviso
Di vita spento il mio Maestro Amato,
Convien, conviene a me
(Per ché la più perversa e scellerata)
Più d’ognun lacrimar! Sin che stillando
L’empietà del mio core in pioggia amara
Facci col pianto mio un vasto mare!
M.Cheofe: Ahimè! Che del mio ben la morte acerba
Non limita dolor nei petti umani
E se tu, Maddalena,
Con reciproco amor piangi quest’oggi
La morte del mio ben, del mio Gesù,
Che far degg’io, meschina,
Ch’oltre al tenero affetto
Con che l’amo e l’adoro, egli ne viene
Per legge di natura a me congionto?
Ahi! Sì, che in questo caso
Vuol la ragion del sangue
Mi prescrive l’amor
Ch’oggi nel pianto io mi stemprassi il core!
M.a Verg: Tormentato mio cor non più lunghi
Di speranze fallaci
Che avrò vivo altra volta
Il dolce figlio in mia balia tornato
Poiché s’ora lo guardo
Di piaghe e vituperj onusto e cinto
L’averò tutto e ver quando risorto
Egli sarà, ma glorioso allora.
E’ per adesso, ahi duol, che il cor m’affanna!
Vederlo mi convien lacero estinto
Per restar la dolente in me,
Senza di te mio bene
In preda al dolor, fra un mar di pene.
Gius: Madre, madre benigna
Più non stimo decente
S’ore passan con rammentare il duolo.
Perché voi ben sapete
Che non può partorir pianto sì acerbo
Giovamento verun. Massime poi
In quelle circostanze ove si scuovre
Poco tempo che passa anco nocivo.
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
38
Egli è ver che ne vale
Per sfogo al core afflitto
Quando d’aspro dolor viene cruciato.
Ma il turbine che sovrasta
D’una plebbe (sic) tiranna inferocita
Contro il morto Gesù, ch’è vostro figlio,
Mi dà che dubitar d’altro bisbiglio.
Onde madre pietosa
Parmi che il moderarvi
Convenevole sia
E nello stesso tempo omai vi piaccia
Concederci del figlio il corpo esangue
Per seppellirlo in quella tomba oscura.
Perché solo così (com’jo ho ideato)
Resta deluso alfin l’ebreo spietato.
Nic: Deh, non più lacrimare
Madre dolente a risvegliar le pene;
Perché solo è costume
Del volgo poco accorto
Alla morte portar pianti in tributo.
E’ ben vero, signora
Che la micrazion del mio Gesù
Sia d’ogni altro mortal, v’è più sensibile;
Non di meno, riflettendo
Ch’egli doppo tre dì risorgerà,
Mitigare dobbiamo del core afflitto
L’amarezza distinta;
E s’egli è quel tesoro
Che in questo mondo immondo
Non vid’occhio mortal, non che l’empio
Che l’ebreo contumace
Fuoruscito del Ciel ladro perverso
Predarcelo procura,
Convenevol egl’è che senza indugio
Per declinar da sì crudele guerra
Abbia sicuro asilo oggi sotterra.
Ma. Verg: Dunque fidi volete
Seppellire il mio bene? Ahi, no! Che fate?
E come resterò meschina sola,
Lungi del patrio suol, senza del figlio?
Ohimè! Ohimè! Che duro caso è questo!
E’ ben ver che non può (cancellato: consolar) corpo senz’alma.
Ahimè consolar mi basta solo
Aver dinanzi all’occhi
Qualunque egli si sia il figlio dolce.
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
39
Onde se voi volete
Seppellire Gesù con esso ancora
Seppellite Maria
Che giust’è ben che in qualsisia perielio
Corra sorte comune: la madre e ‘l figlio.
Figlio! Figlio, mia vita!
T’abbraccio e pur t’adoro, o mio diletto.
(l’abbraccia)
Gio, Mar. Mad, Mar. Cheofe: Riverente ti bacio
Mar. Verg: La bocca santa
Mar. Mad: Il pie’
Cheofe: la man
Gio: Il petto
In cui per gloria mia scoverti
Provai senza velame
Arcani imperscrutabili e divini.
In così acerbo e lacrimevol stato
Che far degg’jo meschino?
Deh! Svenami dolore,
Che mirar non poss’io con ciglio asciutto
Grondolante di sangue
Il sommo e caro ben, il verbo etereo.
E s’è ver che a te stesso acerbo sej
A sì ferina vista
Fa ch’io distilli intanto
Per l’umidi occhi miei un mar di pianto.
M. Mad: Maddalena infelice
Delli casi presenti il rio tenore
Bandisci dal tuo petto ogn’allegrezza
E fa che in esso regni per consuolo
Con eterno marcir, perpetuo duolo.
M. Cheofe: E tu così codardo
Regoli, empio dolor, l’affetti miei?
No no vogl’jo quest’oggi
Che nel campo dell’Alto
Sconfitto dalla doglia e dall’amore
Resti dell’agonia preda il mio core.
M.Verg: Compagne, del mio duol amate suore
Giovanni a me diletto
Cedete pur cedete.
I profluvj del pianto al pianto mio,
Che solo è privilegio
Della madre dolente
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
40
Piangere il figlio morto amaramente.
Gio: Addolorata madre egl’è dovere
Che cediate ancora
Alla raggion l’acerbità del duolo
E solo vi consoli
Ch’à disposto così l’eterno Padre,
E’ ben vero che sempre in tali casi
Suggerisca natura al core umano
Più teneri gli affetti.
Questi modera, ad onta
Della sorte comune, vostra prudenza.
M.Verg: Ah, Giovanni! Giovanni!
E vuoj ch’jo soda stia
Vedendo il mio sostegno al suol disteso
Morto per l’altrui colpe il figlio amato?
Gius: Vi bisogna aderire, signora afflitta
Alle nostre preghiere
Per quel solo riflesso
Che l’ebreo pervicace anco pretende
Che insepolto ne resti il corpo santo.
Affinché meglio possa
Contro luj sodisfar l’ire lo sdegno;
Per lo che vi conviene
Per non far che confronti
Al crudo lor pensier ferito ancora
Seppellirgli Gesù senza dimora.
M.Verg: Mentre così vi piace, invitti eroj,
Io vi concedo il figlio:
Fate ciò che volete,
Dategli sepoltura
Ch’jo madre sconsolata a pieno ciglio
Me piagerò dolente una col figlio.
Gius: Su dunque, Nicodemo
Discovriamo il fortunato sasso.
Nic: Eccomi accinto all’opra.
(Discovrono)
M.Verg: Figlio! Figlio Gesù!
Ahimè, senza di te la madre afflitta
Qual conforto avrà maj
Se non d’eterno duol, d’eterni guaj?
Gio: Ed io ahimè dolente!
Senza il caro mio ben, senza il maestro
Che far maj posso in regolar me stesso?
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
41
Ahi! Sì che se sotterra
Ten vaj per riposar mio dolce amore
Ti segue l’alma (canc: mia) in compagnia.
Madd: E come, ohimè meschina
Farò senza Gesù, senza il Signore?
Ah, no, che se ti piace in cavo sazio
Ricovrar le tue membra, in punto oscuro
Ti prometto passar la vita mia;
E sin che viverò con duol spietato
Piangerò la tua morte e ‘l mio peccato.
Cheofe: Dunque caro mio ben; di questo parto
Gioia senza valor, tesoro immenso,
Dove mi volgerò
Per conforto del duol che mi tormenta?
Ahi, sì che se in quell’urna
Tramonta il sole divino,
Trova, fatto mortal, la tomba un Dio.
E’ d’uopo che sia eterno il pianto mio.
Gius/Nic:Tempo non è già più di lacrimare.
Gius: Si prenda Nicodemo
Il corpo santo e pio:
Seppelliscasi omai…
(Prendono il corpo che nel mentre s’accostanto al Sepolcro sono
trattenuti da Maria)
M. Verg: Ohimè, ohimè! Fermate,
Miej diletti, fermate:
Lasciate che un’altra volta
Pria che sottera vada adori il figlio,
Lasciate che di nuovo
Lo bacci(sic) e l’abracci. Ohimè, che miro?
Figlio dell’alma mia guarda la madre
Come sola ne resta in tante pene,
Ma se al sommo suo padre così piace
Ti bacio e stringo al sen figlio diletto
Vattene a riposar, sij benedetto.
(Lo seppelliscono e cuoprono il sepolcro)
Gius./ Nic: Si covri(sic) omaj la tomba.
Gius: Ebreismo crudel sej sodisfatto(sic)?
Nic: Inumano giudeo pretendi più?
Gius: E’ spenta già la vita.
Nic: Già pervenne all’occaso il sol de giusti.
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
42
Gius: Haj più che machinar(sic) contro di luj?
Nic: Dura più nel tuo cor l’ira, lo sdegno?
A Due: S’haj già ridotto ugual al proprio niente
Il gran figlio di Dio, l’onnipotente.
M.Verg: Ed io la sconsolata
Che far deggio meschina?
E dove? Dove ad incontrarne vado
Ohimè! Senza del figlio
Nel mondo sconoscente altro periglio;
Ma no, ne vengo a te Re dell’Empiro
Che come padre e creatore mio
Ad onta dell’abisso in ogni stato
Guida tu mi saraj, duce e signore.
Mi parto, peccatore: infido ebreo
Contumace ti lascio e se sospiri
Il perdono otterrai da Dio sdegnato
Piangi severamente il tuo peccato.
Gio/M.Mad/M.Cheofe: Resta insensato omaj
Che del tanto fallir la pena avraj
(sopraggiunge Misandro con soldati)
Mis: Elà, elà! Che si fa più, rabbini,
In questo luogo ancora?
S’è sepolto l’infame
Che dispiacciaste(sic) voj per santo e giusto
Discostatevi omaj, che non conviene
Ad altri chi che sia su questo suolo
Orma lasciar, forché(sic) al Misandro invitto;
Tanto Ponzio comanda e tanto esige
Armato di raggion l’arbitrio mio.
E già per sbaraglia vostri disegni
Qua ratto giunge
Qual fulmine di Marte il mio valore.
E se voj forsennati
In atto così vil siete impiegati
Oggi spetta al mio core
Qual foriero di zel armar lo sdegno.
(Alli soldati, li attorniano il sepolcro)
E conviene anco a voj,
Fidi commilitoni, d’avanzare
Per comune interesse
A passi di trofej le vostre imprese.
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
43
Rimbombi l’aere tutta
All’orribile suon di vostre trombe.
(Si suonano le trombe)
E formando quest’arme al vostro ardire
Di fellona ad onor campagna aperta
V’ecciti a dispensar stragge (sic) e vendetta.
Voj scienti(sic) già siete
Che in questo enorme sasso è seppellito
Quel Nazzaren sacrilego e perverso,
Quel mago incantatore
Che sotto manto mansueto e pio
Fece nomarsi per figliol di Dio.
Quel d’esso, o prodi ebrej
Che vantò demolir tutto ad un tratto
Il sacro tempio e di miglior struttura
Darcelo fra tre dì costrutto a pieno.
Quel ribaldo fellon che vantò pure
Esser Re d’Israele.
E che pur doppo(sic) morto
Il terzo dì immortal risorgerà;
Per lo che vi conviene
Con ogni accuratezza
Con ogni attenzione
Custodirlo in quel sasso ove indegno
Qualesacrando mostro omaj ne giace;
Affinché si precluda
Alli seguaci suoi qualque(sic) speranza
Di furarlo alla fine.
Né da voj si conceda
Che giunga a mirar alma vivente
Altrimenti in voj stessi jo vi prometto
L’ire tutte sfogar ch’ho dentro il petto.
Ma pur che mi sottragga
Con più sano consiglio al mio sospetto
Con suggello segno la tomba.
(Segna il sepolcro)
Miratelo guerrieri, incombe a voj
Farla da valorosi
E s’alcun petulante
Oserà d’accostersi all’urna infame
L’ordino che ad un tratto
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
44
In più brani si squarci e poi vedremo
Con soda veritàde
Se quel furbu assassin risorgerà.
Parto Guerrier, addio,
Da Cesare men vado
Anco di Ponzio l’operato ingiusto
Là si discuta al tribunal d’Augusto.
E se al temuto nome di Misandro
Cedono umiliati armi e guerrieri
Per la causa comun, per quest’affare
Sconfiggerò con il mio brando forte
Se possibile sia la stessa morte.
(Via e restano li soldati)
Gius: Sia pur lodato il Ciel che ti partisti
Mostro crudel al fine.
Vanne sì, vanne pure,
Ed ovunque rivolgi il passo errante
Sappj che ti sovrasta
Dell’oltraggiato Ciel vindice l’asta.
Nic: Vanne pure ed apprendi
Che nemico di Dio per ogni stato,
Omicida, averaj il tuo peccato.
(Verso il popolo)
Gius: E tu, rio peccatore…
Nic: E tu scemo mortale…
Gius: Deh, piangi il fallo tuo…
Nic: Piangi l’errore…
Gius: E se per ricomprarti
Dal dominio di Pluto il verbo eterno
Contentossi morir con tanto scempio
Gioisca ogn’un gioisca.
Nic: E se sol per amore,
Per liberarti dall’eterna morte,
Fatto mortal, per te morì Gesù,
Godi l’uomo redento.
Gius: Si sgombri ogni amarezza…
Nic: Su, via. Ne cessi il lutto…
Gius: E festeggiando il mondo…
Nic: Ed urlando l’abisso…
A due: Con eco assaj giuliva…
Gius: L’aer tutto risuoni…
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
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Nic: Ed ogni speco brilli…
Gius: Gridi l’uomo redento…
Nic: Giaché(sic) data a la colpa al cieco oblio…
A due: Pera, pera l’inferno e viva Dio.
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
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CALVARIO n. 3
Le parti in corsivo nel manoscritto risultano riquadrate o cancellate. Cfr.
Archivio Storico del Museo San Nicolò.
Interlocutori: Maria Verg, Maddalena, Ma. Cleofe, Giovanni, Giuseppe,
Nicodemo, Misandro
Ma:Verg: Figlio, diletto figlio.
Così dunque ti miro, et avrò core
Da tollerar sì dolorosa vista?
No, no, deh! Sia permesso
Per far men grave ogni tormento mio
Teco spirar, teco morir anch’jo,
Alma di questo core
Deh, non moltiplicar prodiggi(sic) invano,
Che non ha dell’umano
Stravaganza sì strana et inaudita
Restar, spirando l’alma, il core in vita
Ma tu non parli , e il tuo silenzio accresce
Più insoffribile pena al mio cordoglio:
Rispondi, o caro, io son tua Madre, quella
Che nove mesi ti portai nel ventre.
Quella che ti nutrij Bambino al petto,
Per divino favor riconoscendo
Le tue futura, or già presenti, angoscie(sic)
Colle lacrime mie, più che col latte;
E tu sovente a mille vezzi in preda
Per consolarmi al quanto
Colla tenera man tergevi il pianto.
Si si la stessa io sono (cancellato: son jo), che non mi vedi?
Ma con chi parlo, ove il dolor mi ha scorto!
Come può favellar, s’egli è già morto?
Moristi Figlio, ahi duolo
Et io, se sopravvivo a un tal dolore,
O non son Madre, o pur di tigre ho il core.
Mia speranza gradita
Se tu per sodisfar l’eterno Padre
Fra tormenti sì rei spirasti in croce
Come per compiacere
La tua pietosa, e addolorata Madre
Non permetti ch’io dietro a te morissi?
Non ti raccordi quante volte, e quante
Per non sentire l’angosciose doglie
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
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Che in essermi lontano io tolleravo
In più lunghi viaggi
Mi chiamasti Compagna, or perché dunque
Per non seguirti l’anima imprigioni
In più spietati affanni m’abbandoni?
Sì figlio sì, lascia che ormai ti siegua
che purtroppo disdice
Viver senza speranza una infelice.
E pure jo resto in terra, e tu nel cielo
Ten voli, o mio diletto,
Ahi, che se più resisto a un tal dolore
O non son Madre, o pur di tigre ho il core.
Mio adorato Gesù, dov’è fuggita
La maestà del tuo leggiadro volto
Per cui di santo ardor restai infiammata?
Il geminato sole
Che nel ciel di tua fronte ogn’or splendea,
Da quale infausta nubbe(sic)
Oggi venne eclissato?
Il seren del tuo ciglio
La tua malata bocca
Chi amareggiò, chi intorbidò, mio Bene?
Ah! si lo so , più che il giudeo rigore
D’ogni tiranna crudeltade armato
Così ti ha scontrafatto il mio peccato.
Ma se la rea son io, tu l’innocente
Com’è tu di mie colpe il fio ne paghi?
Se le leggi del mondo
Danno al giusto la morte
Purché il reo non si salvi,
Come il tuo santo Amore
Ogni umana politica deride,
Purché salvi l’iniquo, il giusto uccide.
Ma sa dal tuo morir / benché innocente /
Fu appagato l’Amore
Con troncar la mia vita
Barbicata nel suol d’ogni malizia
Come non si soddisfa la giustizia?
Cleof: Cieli ed’anche(sic) soffrite
Mirar senza disciogliermi in diluvj
Di lacrime inondanti
E fulminar con tuoni di sospiri
Del nostro Creatore l’onte, e j martiri?
Ma a che di voi senza raggion lagnarmi,
Di me vuò querelarmi
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
48
Che non distempro gl’occhi in due ruscelli;
Perché voi vel godete
Nell’immensa sua gloria eternamente
Quand’jo trista, e dolente
Con troppo amara sorte
Fatta prima ne fui dalla sua morte.
Sì sì, son io, la stolida, la ingrata
Perché basto a soffrire
Sante (o tante?) perdite mie senza morire.
Giov: Mio Maestro, e Signore
Cossì(sic) dunque ci lasci, e qual conforto
Porrem senza di te sperare in tanti.
Rammarichi, e condogli,
Se tu che sempre fosti
De nostri cori l’allegrezza, e il gaudio
Afflitti ci abbandoni
Chi basterà per consolar tua Madre?
Queste da me dogliate
Chi potrà confortar? Per me non vaglio,
Perché il Coltello istesso
Con spasimo inaudito,
Che trafisse il lor core, ha il mio ferito.
Mestiere è dunque, che c’infondi spirti
O che ci lasci almeno
Come vivo sortì, morto seguirti.
Ma.Verg: Figlio e a che tardi a consolarmi, ancora
T’opponi al mio morir, né ch’jo m’appello
Al tribunal di tua bontà schernita!
Ella non soffrì mai
Che tu non esaudissi j voti umani;
Or, s’è così, perché a tua Madre solo
Non vorrai compiacer? Si vuò morire:
Avverti che se ‘l nieghi
Forz’è che il mondo dica
Che, non più madre, ti sarò nemica.
Giov: Madre cessate: al duol del primo Figlio
Che già morì, sottentri in voi l’amore
Di chi a tal grado fu secondo ammesso:
E se fin’ora il nostro affetto in bocca
Vi ha posto più querele
Perché dal figlio abbandonata foste,
Non fare ch’jo per la raggion(sic) medema(sic)
Ch’or di vita vi spoglia,
Uccidendovi il duol, di voi mi doglia.
Gius: Assistetemi o spirti: il tempo è giunto
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
49
Del bisogno maggiore. Oh Dio, che vista!
Nic: A spettacol sì mesto
Altro che core, altro che ardir si cerca.
M.Verg: Giovanni ohimé!
Qual con nuovi sussurri all’alma mia
Fiero timor ritorna?
Qual più va machinando(sic)
Di strage al Figlio mio l’ebreo crudele?
Dì pur chi sono questi
che pressatesi a noi
Nei lamenti alternati
Sembran commiserar con pianto rio
La sciagura commun(sic), lo stato mio?
S’eglino sono Ebrei:
A tenor del mio duolo, io posso dirli
Coccodrilli spietati,
Se uccidendo il mio bene
Quel ch’è tutto di me l’anima mia
Perché non pago ancora il lor furore
Con spietata Pietà piangon l’errore.
Se son Giudei perversi
Che non sazj d’avermi ucciso il figlio,
Tornan contro lo stesso
A satollare le spietate voglie,
Pregoti, o mio diletto,
Che alla gran rabbia lor me stessa esponi
Purché si dica al fin, che ‘n compagnia
Morto il figlio Gesù, morì Maria.
Giov: Non, no, madre pietosa,
I palpiti del cor cessino affatto.
Questi ch’ora mirate
In abito d’ebreo, sono in effetto
Dell’esangue mio ben, del figlio nostro
Discepoli fedeli;
Giuseppe è l’un, e Nicodemo è l’altro,
E mi sembran entrambi,
che qui sian portati
Per distaccar da quel spietato legno,
L’amato mio Signor, L’unico pegno.
Cheof: Sì sì, tant’esser deve,
Poiché all’accenti lor ben ho compreso
Metodi di pietà, sensi d’affetto;
E se manca la tomba, in cui posarsi
Debba l’esangue corpo, io mi prometto
Per bara questo seno, per urna il petto.
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
50
Mad: Ed io, che farò mai / o me dolente! /
Io, che la causa fui coi miei peccati
Di far morire il Redentor dell’alme,
Neghittosa starò?
Non no, se per me ei patì tanto,
Forz’è, che mi distempri in pioggie(sic), in pianto.
Gius e Nic: Signora addolorata.
Gius: Umile a’ cenni tuoi.
Nic: Riverente al tuo piede.
Gius: Ecco un servo fedele, ecco Giuseppe.
Nic: Ecco, perpetuo schiavo, un Nicodemo.
Gius: E’ ben vero Signora,
Che funesta caggione(sic) oggi prescriva
Affetti di dolore al mio dovere,
Io non di meno t’accerto
Che saran sempre vive nel mio Core
Del morto mio Gesù l’opere, e l’amore.
Nic: Ed io pur t’assicuro
Che se per amor mio su questo tronco
L’amato figlio tuo lasciò la vita
Impiegata vedrai
Per Gesù, per Maria
Tutto me stesso, il cor, la vita mia.
Per lo che jo ti scongiuro
Che dassi triegua al duol Madre dolente,
E che ci concedessi
All’estinto tuo figlio,
Al dolce mio Gesù l’esangue corpo
Per dargli sepoltura;
che non è ben, che qui sospeso resti
Per accrescerti doglia, e più tormento
Oggetto di ludibrio al freddo vento.
Ma.Verg: Dall’opre di pietà, che meco usate
Facci l’eterno Padre
Con sua libera man giusto compenso;
E giaché(sic) voi bramate
Seppellire il mio bene, io nel concedo:
Ma che dissi? / Ahi meschina! /
Figlio, figlio Gesù, tu che rispondi?
Ahi no, che il figlio amato, ancor ch’è morto
Della mia crudeltà par, che si lagni,
E’ dica fra se stesso in mute note.
Se l’Ebreo contumare
Morte mi die’ per sodisfar(sic) mio Padre,
Mi condanna alla tomba, oggi mia Madre.
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
51
Giov: Sconsolata Signora
Cruda necessità di tor da vista
All’ebraico furore il corpo santo
Del nostro bon Gesù, più non permette
Che passi il tempo a soddisfar le doglie
Tenerezza d’affetti:
Onde convien, Signora,
ch’al voler di la su scontento affatto
Il voler nostro resti
con permetter che siano
le lacerate membra di Gesù
Del mio dolce Signor, del mio Maestro,
In convenevol Tomba oggi sepolte;
Poiché per non goder coj delinquenti
Insepolto restando / ugual la sorte,
Stimasi assai decente;
Che goda almen sepolcro, un innocente.
Gius: Si, si fa’ che non resti
Insepolto per te, quel sommo bene
Che nel mirarlo estinto
Agonizar mi fa, tra un mar di Pene.
Sì, sì fa’ che si smorzi
L’ebraica ferita, ch’anche rimbomba
Che giust’è ben che dia
Al Nazaren Gesù, pace la tomba
Mad: Sì, miei diletti, si. L’opra è ben degna
Del nostro amor; Più dunque non s’iduggi,
Ch’io per quanto verrammi
Dalle forze permesso,
V’aiuterò nel ministero stesso.
Cheof: Maddalena, il Maestro
Lo svenato Gesù il nostro bene’
Fra breve si darà
Tutto lasso, e dismesso
Nelle braccia alla madre:
E benchè la dolente
Figurar non potrà, se sia suo Figlio
Confortar la dobbiamo entrambi intanto
Pel di Dio, col nostro pianto.
Sì, sì. Io sarò quella,
Che formerà dagli occhi
Senza punto cessar di lacrimare
Del pianto mio un(sic) spazioso Mare.
Gius: Qui s’appoggi una scala.
Nic: L’altra quivi si adatti; e tu Giovanni
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
52
Con questa terza a’ santi piedi attendi.
Mis: Ah ribalti felloni!
Dunque si tosto
Posto il vostro Natal tutto in non cale,
Distaccar da quel legno oggi intendete.
Un mostro dell’abisso,
Un mago ippocriton, già crocifisso?
Eh via: cambiate omai
Voluntade, e pensier che non conviene
La propria nobiltà, che ci ostentate
In azion si vil tanto obiettare,
E sovvengavi ancora,
Che se voi pertinaci
Contro il diritto, e dover tanto farete
Non converrà al mio braccio
Ritardar le vendette
Anzi farò, che cada ogn’un di voi
Per conservar le leggi al primo onore
Vittima esaminata al mio furore.
Gius: Misandro a dirti il ver, legge che vieta
Adoprar la pietà sempr’è tiranna.
Ad ogni modo senti
Finiamola omai. Tu sol pretendi
Che resti in croce appeso il buon Gesù;
Ed jo a tuo dispetto appunto, appunto
Col fido Nicodem lo schioderò:
E s’io m’incanti / il che non è giamai /
In opre di viltà, come l’intendi
Lascia che ‘l mondo tutto
Dichi contro di me, quanto gl’aggrada
Che per immortalare il nome mio
Basta, che l’opre mie l’approvi Iddio.
Nico: Se poi con tuoi schiamazzi
Mostro d’umanità, tigre umanata
Procuri intimorirci; assai t’inganni
Poiché solo soggiace al tuo furore
Pusillanime il volgo, e non comprende
Un magnanimo cor, timore alcuno
Il Nazaren Gesù si schioderà
Da quel legno , ove pende.
E col caro Giuseppe
Seppellorollo omai a tuo mal grado.
In se puoi contradirci,
Adopra il tuo furor, maneggia l’ire,
Alfin vindice un telo
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
53
Basta che scocchi, a sterminarti, il Cielo.
Mis: Ah perversi, ed indegni.
Inimici del ciel, Rubelli a Iddio!
E non forma la terra
Più voragini a un tempo ad ingoiarvi?
E’ dal centro del fuoco ancor si bada
/ Eh Dio delle vendette! /
A vibrar sovra questi a cielo aperto
Fuoco, fulmini e guai senza ritengo
Ire, severità, tuoni di sdegno?
Ma che se voi protervi
Profanatori delle leggi eterne
Tollera paziente Iddio, ch’è giusto,
Io vi prometto e giuro,
Che svenando la vostra enormità
L ‘ardir del braccio mio; L’antico culto
Del mosaico rito,
Che senz’alcun riguardo in voi ne langue
Fine novel stabilirò sul sangue.
Ne giovar potrà mai al vostro intento
Di seppellir quel seduttore infame
L’irregolar permesso di Pilato,
Poiché Misandro
Contro voi, contro Lui, cinto di zelo,
L’istanza porterà sin sopra il Cielo.
Gius. e Nic: Serviti come vuoi, io nulla curo.
Mis: Sì: dunque pertinaci
Ministri d’jgnominia
Schiodate da cotesto infame legno
Quel corpo vile ch’abborre un mondo intiero.
Sì: seppellite voi
Quell’immondo rifiuto della Plebbe
Quel fellon seduttore, quel ladro indegno
Che morto ancor di mille morti è degno;
(Ai soldati)
Ma nell’istesso passo e ferro, e fuoco
Vi conviene adoprar fidi Guerrieri.
Fiatansi omai le trombe,
S’accinga ogn’un a custodir quell’antro,
Ove sepolcro avrà quel furbo audace,
Poiché vedremo alfin, se può Misandro
Nel tenor de suoi sdegni
Le macchine atterrar di questi indegni
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
54
Giuseppe, Nicodem, perfidi parto,
E v’assicuro ancora,
Che la vostra arroganza
Castigata sarà senza uguaglianza:
Giurami di voi stessi
Sterminator tremendo;
E sinché durerà nel petto mio,
Unico in culla d’ardir l’offeso core
Vendette adoprirò, Ire e furore.
(Parte)
Gius: Barbaro, disleal, Petto abbronzito…
Nic: Cor del, fiero Tiranno, empio perverso…
Gius: Vanne, t’ingoierà l’inferno istesso.
Indi non più convien, che scorra il tempo
Senza condur l’impresa nostra al Segno;
Eccomi accinto a sodisfar l’impegno.
(Giuseppe, Nicodemo e Gio: salgono le scale)
Giov: Santi piedi che liberi nasceste
Per calpestar soglio di stelle adorno
Chi or con ferrato impaccio
Catenati vi tiene a un legno appesi?
Snodatevi, legami assai più degni
Vi ha preparato il nostro santo affetto,
Avvi croce ogni petto
In cui per affissarvi più tenaci
Saran chiodi i sospir, martelli j baci.
(Schioda i S. piedi)
M.Verg: Ingratissimo Ebreo,
Qual di male in tuo danno
Il dolce Figlio mio oprò già mai?
In che lo conoscesti,
(Smemorato, che sei,)
Ladro, furbo, fellon, perfido, indegno?
Dimmi, dimmi spietato
E quando a tuo favore
Non stese egli la man a consolarti?
E quando mai
Cessò teco d’usar la sua pietade?
E tu senza ragione
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
55
Il dator d’ogni bene ladro ne chiami,
Furba la Purità, fellone un santo,
Perfido un giusto, indegno stimi un Dio.
Ahi! Che tanto martorio
Soffrir non posso più. Io me ne… muo…io.
(Sviene)
Che e Mad (tutti ad un tratto): Ohimé, caro Giovanni.
Gius: Soccorrasi da voi la Madre afflitta.
Giov: Mondo sei sodisfatto?
Sei sazio peccatore?
Contenta è la tua brama iniqua, e ria
Giaché è morto Gesù, muore Maria.
Gius: Giaché pur, Nicodemo,
Resta la fascia ben da noi adattata
Uop’è dunque si dia
Al grand’ufficio, e pio
Principio col schiodar il nostro Dio.
Deh, piangi empio mio cuore.
Nic: Deh, sospira alma mia,
A due: Mentre che di te stesso il Redentore
Estinto il vedi già sol per tuo amore.
Gius: Strale tiranno, e crudo…
(Batte)
Nic: Chiodo senza vergogna…
(Batte)
Gius: Su, dammi del mio Dio la man benigna…
Nic: Cedi al mio voler, cedi spietato…
Gius: Ch’è giusto ben, che adopri…
A due: Dandomi il mio Gesù caro e diletto
E ogni tua tirannia contro il mio petto.
Nic: Già distaccarsi al fin L’acuto acciaio.
(Schioda la destra)
E questo pertinace anche resiste.
Ma fa che vuoi, le punte tue severe
Trofeo ne resteran del mio potere.
Gius: Mondo! questa è la destra
Che l’essere ti die’, mira insenzato(sic)
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
56
Come resa L’ha già il tuo peccato.
Nic: Cambiò penzier alfin, cedette il ferro;
(Schioda la sinistra)
E tu scemo mortale
Desister non ti vuoi di tanti eccessi!
Mira! Questa sinistra
Ch’ai trafitto col tuo tanto fallire,
La sentenza darà del tuo morire.
Gius: Su via si deponghi dal legno
A due: E voi fedeli intanto
Date del vostro duol, segno col Pianto.
Giov: Rallenta Nicodemo.
Nic: Sostenete Giovanni.
(Lo scendono in braccio alla Vergine)
Gio: Signora ecco che torna al vostro Seno
Il da Voi tanto sospirato Figlio.
Ma.V: Figlio, mio caro figlio
De le viscere mie parte migliore
Così ritorni della tua madre a vista?
Oh! Dio dov’è quel bello
Con cui forzavi a riverenza un mondo?
Fulgentissimi Crini, ov’è quel biondo,
Al di cui paragone
Di men preggio(sic) convinto
L’oro del mago impallidir si vidde(sic),
Chi v’ha ridotti in orrido miscuglio
Di sangue, e sputi, onde al divin sembiante
Più che di freggio(sic) voi d’orror servite!
Oh! Dio se più la duro al rio cordoglio
Avrò in sen tempestoso alma di scoglio.
Gius: Non più, signora, ad affrettar l’esequie
L’equipaggio dovuto ecco ch’è pronto.
Già di nere gramaglie
Coverto è il mondo, et ha l’empiro accese
Le funebri lumiere
Or che si bada, amici,
Che non terminiamo gli nostri ufficj.
Ma.V: Sì sì, Gioseffo io già son pronta; e voi
Che mi foste in Giovanni
Tutti del mio Gesù dati per figli
Deh, non vogliate in cossì(sic) dura impresa
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
57
Abbandonarmi sola: su, venite
Tutti, o diletti, e se il fratello estinto
Con versar dalle vene a rivi il Sangue
Dell’insassito Core
Non ha sinora la durezza inframe
Lo facci almen di vostra madre il pianto.
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
58
Gli spettacoli e la festa
da La Verità in Trionfo di Ludovico Fazio
Il brano è stato preso da un quaderno manoscritto, che reca in fondo al
frontespizio la seguente dicitura: “Beneficiale sacerdote Giuseppe Ragusa Falcone
da Militello Valle di Catania copiò addì 1 novembre 1895.”
Ecco, comunque, la trascrizione dell’intero frontespizio:
“La Verità in Trionfo, ovvero Ragioni storiche con le quali si sostiene Santa
Maria sotto il titolo della Stella Unica e Singolare Padrona della Città di Militello
Valle di Noto. Raccolte e disposte da un devoto nato a Militello e battezzato nella
Chiesa di S. Nicolò a 25 settembre dello anno 1707. Padre Ludovico Fazio
dell’Ordine dei Venerandi Padri Conventuali di S. Francesco d’Assisi. Dedicato al
Santo dei Miracoli e Miracolo dei Santi S. Nicolò il Grande Arcivescovo di Mira.”
Al di là delle argomentazioni, a volte un po’ forzate, per attestare il primato della
Madonna della Stella sulla città, l’opera contiene alcune delle più antiche
descrizioni degli spettacoli militellesi, per cui occupa un posto centrale in questa
storia della figurazione immateriale. Le parole in corsivo e tra parentesi valgono
come nostra integrazione in punti altrimenti incomprensili. Sono stati lasciati gli
errori ortografici, limitandosi a pochissimi interventi di sicuro non
fraintendimento e di sicura utilità per la chiarezza del significato.
(…)
Si legge nel registro dei Mandati e specialmente in uno spedito all’otto
di settembre 12 indizione 1628:
“Don Joseppi Romano Depositario della Università di questa Terra di
Militello V: N: dati e pagati a Giuseppe Pitradilo di Palazzolo onza una tarì
diciotto dicimo > 1.18 quali si ci pagano per aviri andato alla corda corda,
ed aviri vulatu a lu campanaru di S. Maria della Stella, insinu allu pianu, e
questo disbrio è stato fatto per solennizzarsi detta Festa, acciò tanto lu
populu di questa terra, quanto li farasteri insieme solennizzare la Festa di
la nostra Padrona, acciò anche aversi fatto altri fiati in detta Festa.”
(…)
Pietro Carrera inclito rampollo di Militello (…) dopo avere investigato
da per se stesso tutte le memorie dell’antichità di sua patria raccolte
principalmente dalle antiche pubbliche scritture come egli medesimo
afferma che tra le altre cose parlando della Chiesa di Santa Maria sotto il
titolo della Stella le tramanda alla notizia dei posteri suoi concittadini
quanto segue:
“La Chiesa di Santa Maria della Stella della quale ha preso il nome il
quartiere situato nel basso fuor della terra è ricordata nel sudetto
testamento che citamo di Blasco primo fatto in Catania agli undici di
Agosto dell’anno 1390. Per quello egli lascia un legato alla sudetta Chiesa.
La memoria è del semplice nome di Santa Maria, sicché allora non avea
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
59
quel titolo che oggi della stella (e dopo una lunga descrizione di detta
Chiesa segue a dire) La Festa è quella della Università, si celebra (nel dì?)
del Nascimento di Maria Vergine nostra Padrona a dì otto settembre, si
conduce una devotissima statua della Madonna composta di stucco,
dentro una grande e ricca bara e questa si serba in un tabernacolo adorno
di belle iimagini dorato, vi si fa la fiera, e si corre il Palio a spese del
Pubblico, e dal primo di settembre insini ai quindici la fiera è franca.”
(…)
Veggiamo di grazia quello spedito (parla del mandato) l’anno 1628 nel
quale così si legge:
“Don Giuseppe Romano Depositario di questa terra di Militello Val di
Noto dati e pagati al M.ro Vincenzo Baldanza onze dodeci diciamo > 12,
quali si pagano per accordio da farsi un Giuoco di Fuoco con boni
forgarelli ad effetto spararsi per questa Festa di Santa Maria della Stella
nostra Padrona quale Festa si celebra all’otto di Settembre misi presenti
d’accordio e solita farsi festa a spese di questa Università, come antica
consuetudine e Padrona di questa terra di Militello V: N:”
(…)
Nelle costituzioni ed ordinazioni dello stato di Militello attinenti
all’amministrazione e buono governo disposte dall’Eccellentissimo Signor
Principe (di felice memoria) Don Carlo Maria Caraffa Principe di Bufera e
Marchese di Militello V: N: tra gl’altri vi sono il capitolo quinto nel quale si
tratta della gabella di Catamarano e Dogana, ed il capitolo trentatré detto
del Zagato(?) aperto, in entrambi ad evidenza viene Maria Nostra Signora
sotto titolo della Stella chiamata Unica e Singolar Padrona con quelle
parole specialmente dal capitolo trentatrè:
“Neanche s’intende derogata l’antica consuetudine e libertà delli primi
predetti giorni diSettembre della Fiera per la Festività di Nostra Signora
Santa Maria della Stella Padrona della Città.”
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
60
AVVISO
Festa della Madonna della Stella nell’anno 1783
Se il popolo di Militello Val di Noto è stato sempre Fervorosamente
impegnato a celebrare in ogn’Anno la Festività di Maria Ssma della Stella;
un maggior Fervore gli ha eccitato in quest’Anno l’affettuosa premura
dello Spet. Barone D. Gaetano M. Tineo Capitano di Giustizia per
dimostrarsi in Quest’occasione lo rendimento di Grazie della Ssma
Vergine, che ha col suo Patrocinio preservata dalle disgrazie questa città,
quando tant’altre giacciono sotto le Rovine, e per maggior gloria di Dio, e
per eccitare l’Universale devozione, e pietà a beneficio comune, e volendo
il Magistrato publicare(sic) il Festino, che ha ordinato, ha disposto il
seguente avviso per tramandare al pubblico la corrispondente Intelligenza.
Il dopo pranzo del dì cinque Settembre Seconda Ind. 1783 li Ministri
Subalterni di questo Magistrato col Capitano di Notte Si straderanno a
Cavallo con Trombe, e Strumenti Musicali per publicare(sic) il solito bando
in istampa per le consuete strade; Ritornati alla Chiesa pianteranno lo
Stendardo in cima alla medesima soneranno tutte le campane, e si sentirà
lo disparo di mortaretti fuori le Porte, ed ecco aperto il Festino.
Nel dopo pranzo del sussequente(sic) giorno, si farà nell’ampio piano di
San Francesco di Paola la corsa de’ Barbari, e vi concorreranno i destrieri
più agili di questo Regno per la qualità del nuovo aggradevole corso, e
pella sostanza dè(sic) Premi promessi in denaro, che saranno esposti alla
publica(sic) veduta in piagie(sic) dorate a guisa della Capitale, finito
questo divertimento, ritirandosi il popolo in Città troverà a duplicato
ordine illuminate le principali strade con alcune vaghe macchine
rappresentanti la Natività di Nostra Signora, ciò che contribuirà al
passeggio de’ Carriaggi, e di tutta la Gente, che v’accorrerà, e frattanto si
rappresenterà un Dialogo figurato per musica, che canteranno le migliori
voci del Regno colla più virtuosa Orchestra di Strumenti.
Nel terzo giorno si farà la mattina la solenne processione della reliquia
col’intervento del Magistrato, del Clero Regolare, e Secolare, e di tutti li
Gentiluomini, ed arrivata in Chiesa s’esporrà alla publica(sic) adorazione,
e le si canterà avanti la Solenne Messa, che celebreà il Rev. Sac. Parroco
S.T.D. D. Giovanni M. Tineo. Il dopo pranzo si replicheranno le corse co’
simili premi, delle quali sarà anche spettatore, ed il magistrato, ed il
Deputato appresso le mosse de’ Corsieri per dar loro la Voce; la sera
ritornerà l’illuminazione nelle strade; E frattanto s’uscirà dalla Cappella il
Miracoloso Simulacro di Nostra Signora per adattarsi nella Gram
Machina(sic) dell’Altare Magiore(sic) della Chiesa che si vedrà
superbamente apparata, ed illuminata; Dopo qual funzione si darà
principio al Vespere in musica, quale finito resterà al Popolo il
divertimento del passegio(sic), onde godere la sontuosa illuminazione.
Nel quarto giorno, che corrisponderà a quello della Natività di detta
nostra principale Padrone, la mattina si condurrà pelle consuete strade in
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
61
solenne Processione il detto suo miracoloso Simulacro coll’intervento di
ogni Ceto, dopo la quale si canterà l’altra solenne Messa in musica colla
rappresentazione dell’Orazione Panegirica.
Il dopo pranzo si replicherà per l’ultima volta lo spettacolo della corsa,
indi si canteranno in Chiesa da musici le lodi di nostra Signora, si darà
susseguentemente la benedizione del Sagramento(sic), si farà godere per la
terza volta l’illuminazione nelle strade, si rappresenterà per la seconda
volta il Dialogo, e chiuderà il Festino il Disparo d’una bene architettata
Machina(sic) di fuoco, che sorprenderà l’aspettazione del Publico(sic), e lo
tratterrà quasi un’ora in godimento pella vaga veduta di tanta diversità di
fuochi, e di lume.
Il di più si compirà dalla pietà, e devozione d’ognuno coll’Opere
spirituali, e temporali pella maggior Gloria di Dio, e bene dell’Anima, a
Cui esser debbono dirizzate tutte l’azioni, e fatighe(sic).
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
62
COMPONIMENTI LIRICI E TALENTI MUSICALI
BEATAE MARIAE VIRGINI
Quae Militelli colitur
Sub titulo de Stellis
di Costantino Pollina
Il “carmen”, per rifarci al termine usato dall’autore, fu pubblicato in un foglio
stampato dalla “Tipografia dell’ospizio”. Un’altra pubblicazione similare (però, in
lingua italiana) dello stesso “doctor Costantinus Pollina Militelli V. N.” è datata

  1. La traduzione dal latino è di S. P. Garufi.
    Fundite laetitias populi, spes nostra salusque
    Jam nata est nobis, fundite laetitias.
    Diffugiunt luctus redunt(sic) jam gaudis terris,
    Livor iniquus abest, exulat atque dolus.
    Rumpitur invidia Doemon cui mille nocendi,
    Effugere artes, rumpitur invidia.
    Te Militelle decet natam celebrare Mariam
    Hunc proavi dederunt te celebrare diem.
    Traduzione:
    ALLA BEATA MARIA VERGINE
    Che si onora a Militello
    Sotto il Titolo “della Stella”
    Date al popolo letizia, ch’è nata la speranza
    E la nostra salvezza, date al popolo letizia.
    Già svanirono i bui lutti, vien gioia sulla terra,
    L’atro livore è assente e s’esiliano gli inganni.
    Già morì l’invidia, il demone che in mille modi nuoce,
    Si sfuggì ogni sua trappola, già morì l’invidia, il demone.
    Celebrar Maria che nasce s’addice a Militello.
    Questo gli avi gli diedero come dì da celebrare.
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    63
    INNO
    A MARIA SS. DELLA STELLA
    Ricorrendo il di Lei fausto giorno in Militello V. N.
    Addì otto settembre 1846
    di Costantino Pollina
    Surse, su devoti fratelli
    L’alma oppressa alla gioia sciogliete,
    Siano spenti i desideri rubelli,
    Pace ovunque si canti ed amor:
    Accorrete fratelli accorrete
    Solo un patto ci stringa ed un cor.
    Dei veggenti è compiuto il mistero
    Scintillò di Giacobbe la Stella,
    E col raggio di pace foriero
    L’orbe intiero – alla pace donò.
    Aurora più lucida e bella
    No di questa giammai non spuntò.
    Benedetto l’istante celeste
    Quando al messo di Dio vereconda
    Arrossando le guancie(sic) modeste
    Dal suo labro(sic) il gran fiat uscì,
    Dei Cherubi la schiera gioconda
    Inneggiare nel cielo si udì.
    Diva eccelsa! L’Eterno mostrosse
    Dal suo trono di luce ammantato
    Ed il creato – nel nero caosse
    Col mirifico verbo lanciò.
    Ma il tuo umile si faccia aspettato
    Qual letizia alle genti apportò?
    Per te il Nume benigno elemento
    Cancellò dalle pagine eterne
    L’alto fallo del primo parente,
    Il mortale per te s’indiò.
    E per te l’infernale Oloferne
    O novella Giuditta spirò.
    Al tuo nome s’incurvano i cieli,
    Riverente ti adora la terra,
    Tempestoso se al mar ti riveli
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    64
    Il muggito dell’onda si sta;
    Atra nube se in aria fa guerra
    Per te sola si dissipa e va.
    A te intuona al mattino alla sera
    L’ave angelico il pio pellegrino,
    A te scioglie la prima preghiera
    Il fanciullo dal candido cor;
    Ripetendo il tuo nome divino
    Va il Levita sull’ora d’amor.
    Oh beato chi all’ombra s’asside
    Del tuo manto o celeste virago!
    La virtude al suo fianco sorride,
    Dello scherno non sente il flagel,
    Non paventa le insidie del drago,
    I tranelli del baldo fratel.
    Salve deh! Di letizia s’inondi
    Tua mercé questa terra diletta
    Fian per te i nostri campi fecondi,
    Deh! Ci vegli dall’alto de’ ciel,
    Mentre a te tra le vergini o eletta
    Sale l’inno di un popol fedel.
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    65
    SULLA NATIVITA’ DI MARIA
    Che viene simboleggiata in Militello
    Sotto il titolo
    DI STELLA
    del Sac. Sebastiano Cantarella
    da Militello in Val di Catania
    L’inno è stato stampato dalla tip. Roma di Catania senza indicazione di data su
    di un foglio volante color verde.
    Re della terra, immagine
    Del vero Dio increato
    Dopo cotanti secoli
    Di colpa e di peccato,
    Sciogli di pace il cantico
    Sui vanni dell’amor,
    Gridando: è nata, o popoli,
    La stella del Signor.
    Pria che l’eterno Artefice
    Volle le nubi intorno,
    La terra, il mar, l’empireo,
    Le sfere, gli astri, il giorno
    E quanta in vita celere
    Dal nulla al cenno uscì,
    L’ebbe dinanzi e in estasi
    Se la dicea così:
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    66
    ALLA VERGINE SS. DELLA STELLA
    Che sotto questo titolo si venera in Militello del Val di Noto
    di Autore e data sconosciuti
    Non era ancora la mattutina Stella
    In Cielo apparsa, e tu gran madre assisa
    Del sommo al piede, l’unica divisa
    Cingevi già della più fida ancella.
    Di là chiamata a fiammeggiar sì bella,
    Un serto poi ti fea la luce, in guisa
    Che pur Reina sin d’allor t’avvisa
    E ti noma il creato in sua favella.
    Della mente di Dio primo pensiero.
    Ristoratrice di quel mal che involse
    Di triboli alla terra ogni sentiero,
    L’ire ognor pronte del vetusto drago
    Mai non prevalgan su chi ognor si volse
    Del tuo bel viso alla più cara Imago.
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    67
    A
    MARIA SS.MA DELLA STELLA
    Patrona Principale di Militello
    di S. A.
    Forse la sigla nasconde il nome del sacerdote dr. Salvatore Abbotto, che fu pure
    autore di un prezioso opuscolo dal titolo “Militello e la Madonna della Stella”,
    stampato in Caltagirone dalla tipografia “Vita”, in occasione della festa
    dell’Incoronazione della Madonna, avvenuta a Militello nel 1954. Il foglio in cui
    fu stampato l’inno reca l’indicazione: Militello 8 Settembre 1930.
    Sento nel core un fremito
    Di vivo ardente amore
    Per te, sublime Vergine,
    Madre del mio Signore.
    Tu sei l’eletta figlia
    Concetta immacolata,
    Tutte le genti sempre
    Ti chiameran beata.
    I nostri padri aviti
    Ti vider tutta bella
    Simile a raggio fulgido
    Di mattutina stella;
    E ti nomar patrona
    Dell’almo nostro paese.
    E t’invocar nei triboli,
    E t’innalzaron chiese.
    Salve, adunque, o Madre,
    In questo lieto giorno
    A noi sì caro e grato
    Di pura luce adorno.
    Quanto soave torna
    Il tuo gentil sorriso
    All’alma, al cor ben nato,
    Regina del Paradiso!
    Note a te l’ansie, i gemiti
    Fur sempre d’ogni core,
    Sempre a te dei miseri
    Offerto fu il dolore.
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    68
    Oggi tu, deh! Pietosa
    Volgi lo sguardo a noi,
    Sebbene infidi e rei
    Figli sian sempre tuoi.
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    69
    “POPULAMEUS E CANTATE” DEL M° IGNAZIO BONO LANZA
    di Giuseppe Ragusa
    Nato a Caltagirone il 26 febbraio del 1885, il maestro Ignazio Bono
    Lanza, di dovere può essere certamente annoverato tra le figure più
    illustri, quelle che maggiormente hanno contribuito, attraverso
    l’infaticabile operosità e creatività musicale, ad animare, per circa un
    trentennio, lo scenario musicale della città di Militello.
    Forte di una solidissima formazione musicale, derivante dall’abilità nel
    saper suonare con destrezza violino, violoncello e flicorno baritono, egli
    riuscì nella tecnica della strumentazione per banda, attraverso una buona
    conoscenza di tutti gli strumenti a fiato ed a percussione, utilizzati
    all’interno dell’apparato bandistico. Una conoscenza, questa, che
    evidentemente gli giovò non poco nell’ambito della composizione e
    strumentazione musicale per banda.
    Altra nota che necessita di una particolare menzione in questo contesto
    è sicuramente quella relativa alla sua eccellente grafia musicale, dato che
    questa non comune abilità portò il maestro Bono a ricoprire l’incarico di
    copista presso il prestigioso corpo bandistico della città di Caltagirone.
    Una volta esaurita la sua collaborazione di musicista e copista presso la
    banda comunale di Caltagirone, Ignazio Bono Lanza, accompagnato dalla
    sua fama di abile strumentista, compositore e direttore di banda, che nel
    frattempo si era diffusa in tutto l’ambiente musicale del calatino, si trasferì
    definitivamente a Militello, accettando il 22/06/19291, l’incarico da parte
    dell’Amministrazione Comunale di Militello di direttore del locale corpo
    bandistico e dell’annessa scuola civica di musica, succedendo al suo
    predecessore maestro Diego Carlo Flaccomio da Barcellona (Messina), il
    quale aveva diretto il complesso bandistico e della scuola civica di musica
    dal 1 luglio 1928 al marzo 19292 .
    Bisogna sottolineare, altresì, che l’incarico offerto al maestro calatino
    non fu del tutto casuale, visto che egli si era già reso protagonista di
    notevoli esecuzioni musicali a Militello nell’estate del 1920, quando era
    stato chiamato dal commissario Francesco Distefano 3 a dirigere la locale
    banda nei concerti di agosto e settembre, confermando evidentemente la
    sua fama di eccelso direttore 4.
    1 Cfr. ( Del. N .130 del 24/06/1928 ),in M. Bellofiore S. Carcò,Militello e la sua
    musica,omaggio al M° Montecassino,Paolo Sinatra Editore,Militello 1998,p. 4.
    2 Cfr. Ibidem,p. 4.
    3 Regio commissario a Militello dal 1919 al 1920.
    4 Cfr.P.S.Basso,voce Banda musicale,in Militello dalla A alla Z,a cura di Nello
    Musumeci,Biblioteca della Provincia regionale di Catania,Catania 2003,p. 35.
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    70
    Gli incarichi che Ignazio Bono resse con autorevolezza 5 e prestigio dal
    1929 al 1957, anno questo in cui il civico corpo bandistico veniva
    formalmente soppresso 6, trasformarono la banda musicale locale in una
    vera e propria orchestra di fiati e percussioni, che grazie alle notevoli
    capacità musicali dei suoi componenti, tutti locali e provenienti dai più
    disparati mestieri del piccolo artigianato 7, raggiunse, come dimostrano i
    programmi dei concerti che ancora oggi sono conservati all’interno
    dell’archivio musicale dell’associazione bandistica “A. Montecassino”,
    eccellenti capacità nell’esecuzione di famosi brani operistici e sinfonici, di
    straordinaria elevatura tecnica.
    E’ necessario aggiungere, inoltre, che la direzione della banda da parte
    del maestro Ignazio Bono Lanza venne formalmente interrotta dal 1943 al
    1946, con deliberazione commissariale n. 2 del 28/02/1943 8, in
    considerazione dello stato di guerra e della precaria situazione finanziaria
    dell’erario comunale, fatto che portò allo scioglimento della banda e della
    scuola civica musicale, destinando il suo direttore alle funzioni di
    applicato di segreteria. In realtà, il corpo bandistico non venne mai sciolto
    nella sua interezza, in quanto esso continuava, anche se con meno
    frequenza, ad esplicare le sue funzioni musicali nell’ambito di determinate
    ed occasionali manifestazioni.
    5 Nell’archivio musicale dell’Ass. “A. Montecassino”,abbiamo recuperato un
    documento attestante delle rigide regole miranti al rispetto della disciplina,a cui erano
    sottoposti i musicisti dal M° Bono. Riportiamo integralmente il testo:
    Avvertenze
    (1) Nessuno può assentarsi dalle prove senza giustificato motivo. I trasgressori
    saranno multati da lire 5 per ogni assenza.
    (2)Chi si assenterà per tre prove di seguito,sarà dichiarato dimissionario
    volontario.
    (3)Chi non prenderà parte nei servizi per conto terzi,non sarà pagato e per
    nessun motivo.
    (4) ?
    (5) Nessuno può chiedere permesso al Direttore per assentarsi nei pubblici
    servizi.
    (6) Nessuno potrà permettersi di far parte di altri corpi musicali anche fuori
    residenza temporaneamente.
    Militello,26 Febbraio 1930
    Il Direttore
    Ignazio Bono
    6 Atto ( Del. N. 18 del 31/03/1957 ) con il quale il Consiglio Comunale di
    Militello,sentita la relazione del Sindaco Avv. Cav. Vincenzo Baldanza ( 1956 –
    1962 ) deliberava di << Sopprimere il posto di direttore della scuola di musica e collocare a riposo il maestro Bono Lanza >>.
    Cfr. M. Bellofiore S. Carcò,op. cit.,p. 5.
    7 Gli elenchi paga dei musicisti,conservati presso l’archivio musicale dell’Ass.
    musicale “A. Montecassino”,documentano che la banda era formata prevalentemente
    da barbieri,scalpellini,sarti,falegnami,ebanisti e panettieri.
    8 Cfr. Ibidem
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    71
    Sempre all’interno del contesto rappresentato dal corpo bandistico,
    bisogna dare atto al maestro Bono di aver avuto la capacità di riuscire a
    potenziare come non mai la scuola civica di musica, raggiungendo enormi
    risultati, sia in termini di adesioni, sia nei risultati sotto il profilo musicale,
    scoprendo ed affinando la musicalità di veri e propri talenti. Fra tutti
    possiamo certamente citare la celebre figura del giovanissimo clarinettista
    Antonino Montecassino, il quale rappresentò certamente uno dei pilastri
    della corpo bandistico diretto dal maestro Bono, divenendo
    successivamente un’altra delle figure eccellenti che hanno dato lustro
    musicale alla città di Militello.
    La scuola di musica, infatti, secondo quanto emerge dai documenti di
    cui siamo in possesso, contava mediamente un numero di studenti che
    andava appena sotto la trentina di unità. Molti degli allievi erano i figli di
    coloro che già prestavano servizio nella banda civica. Studenti, questi, che,
    sottoposti ad una ferrea disciplina ed ad una minuziosa preparazione
    musicale, andavano pian piano ad alimentare l’organico della banda, non
    appena la loro formazione era matura e completa.
    A conferma dell’enorme rilevanza che il maestro Ignazio Bono Lanza
    ebbe all’interno di tutto lo scenario musicale militellese, è necessario,
    inoltre, evidenziare anche la sua attività di collaborazione musicale, in
    seno alle varie attività culturali ed artistiche che sbocciarono a Militello
    nell’arco di quel trentennio, dove il maestro di origine calatina riuscì ad
    imporre meritatamente la sua creatività musicale. Una su tutte, è quella
    relativa alla sua collaborazione artistica all’interno del “Circolo
    Universitario ” 9, per il quale Bono Lanza, oltre ad aver composto un
    Inno10che sporadicamente inseriva nei programmi dei vari concerti che
    teneva con la banda, fondò anche l’Orchestra del Circolo Universitario11,
    9 Gruppo di scalmanati e goliardici che a cavallo degli anni 40’ e 50’ animavano la
    Militello culturale ,attraverso l’allestimento di rappresentazioni teatrali curati dalla
    cosiddetta” Brigata artistica del goliardi alla ribalta di Militello “,di cui facevano
    parte: Nicolino Pollina,Mario Abbotto,Nino Ciccia,Totò Rosa,Tino Placenti,Pippo
    Passione,Totò Pernice,Angelo Frazzetto,Totò dell’Agli,Ciccio Marino,Ugo
    Profeta,Felice La Rocca,Gerardo Campisi,Totò Pistone,Maria Giuffrida,Stella
    Onorato,Giuseppe Sinatra,Nello Lo Sciuto,il maestro Ignazio Bono Lanza ed i suoi
    musicisti.
    Cfr. Militello Notizie,rassegna periodica trimestrale,anno IV,n. 13 del 1989,a cura
    del comune di Militello in Val di Catania,p. 12.
    10 Inno del Circolo Universitario
    11 Orchestra del “ Circolo Universitario “ di cui erano membri: maestro Ignazio Bono
    Lanza (compositore,arrangiatore e direttore), Paolo Abramo (violino),Prof. Pippo Di
    Pasquale (violino),Pippo CORREGGI Totò Palermo (violino),Ugo Profeta
    (batteria),Pippo Riccioli (tromba),Francesco Bono Lanza (clarinetto),Giovanni Renda
    ( flauto ),Rosario Bellofiore (Sassofono),Barone ( Chitarra ),Prof.ssa Eremita
    (pianoforte ).
    Cfr. Militello notizie,rassegna periodica trimestrale,anno III,n. 10 del 1988,p.7.
    AGGIUNGI Militello Notizie, anno IV, n.13 del 1989, p.17
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    72
    formata da alcuni dei migliori elementi che facevano parte del complesso
    bandistico, con la quale eseguiva, sia musiche da lui composte, sia
    arrangiamenti per piccola orchestra di celebri arie estratte da opere ed
    operette molto note. Questi lavori, poi, andavano ad accompagnare le
    commedie musicali messe in scena dal già citato circolo culturale.
    Morto a Militello il 12 ottobre del 1960, il maestro Ignazio Bono Lanza ci
    ha lasciato un vasto corpus di composizioni musicali,comprendenti un
    Canzoniere 12, che raccoglie arie celebri di operette, numerose marce funebri
    13, allegre 14 e sinfoniche15, oltre a molte musiche da ballo 16 strumentate per
    banda (minuetti, dancing, polke, quadriglie, galop, mazurke, tanghi,
    valzer, fox-trott, one step, gavotte, ecc.), tra le quali spiccano per bellezza
    ed importanza, il valse-intermezzo Baci voluttuosi 17 ed il fox-trott Marina
    canta 18.
    Tra tutte le sue produzioni, però, una citazione a parte meritano
    sicuramente le sue Cantate. Composizioni vocali e strumentali su testi di
    carattere sacro, rappresentate dai Popule meus del Venerdì e del Giovedì Santo
    e dalle due Cantate composte in onore del SS. Salvatore e di S. Maria della
    Stella. Composizioni, queste, che sono molto conosciute, apprezzate e care
    ai militellesi, visto che esse, sin dalle prime esecuzioni, accompagnano
    costantemente alcune delle manifestazioni e processioni religiose più
    antiche e suggestive di Militello, anzi ne costituiscono un momento
    fondamentale.
    Scritto il 20/03/1932 19, per strumenti a fiato20, voce e tromba solista
    (flicornino), il Popule meus del Venerdì Santo, oltre ad essere, forse, la
    12 Nel frontespizio della partitura autografa troviamo la seguente indicazione:
    Militello 29/11/1948.
    13 Pensiero Lugubre,Eterno ricordo,Venerdì Santo,Desolazione,Il pianto,Tristis
    Hora,ecc.
    14Onomastico,Sempre avanti,Risorgimento italiano, Tutti per la Patria,La nuova
    Caltagirone,La vezzosa,Fede e Lavoro, Vita nuova,ecc.
    15 In musica est vita,Musica e poesia,Roma,Un saluto a Militello,Sicilia
    Fiorente,Alba radiosa Italia che risorge,ecc.
    16Feste carnevalesche,La briosa,La bella
    montanara,L’elegante,Tina,Angelica,Amore e voluttà,Amor Lontano,Aviazione
    italiana,L’ideale,Birichina,Graziala, Tutto brio,Biraghin,Marina canta, La
    sempliciona, Sperando,ecc.
    17 Minuetto scritto a Militello nel dicembre 1929 e premiato al concorso “ L’amico
    dei minuetti “ del periodico della ditta “Belati” di Perugina con diploma di medaglia
    di bronzo il 15/02/1931.
    Cfr. Frontespizio del manoscritto autografo.
    18 Canzone fox – trott premiata al concorso nazionale di Marina di Pisa nel 1929.
    Cfr. Frontespizio del manoscritto autografo.
    19 20/03/1932 alle ore 1,00 dopo la mezzanotte. E’ questa l’indicazione che appare nel
    manoscritto autografo del Popule meus del venerdì Santo.
    20 Nella partitura sono indicati i seguenti strumenti a fiato da adoperarsi: tromba
    solista ( flicornino),flauto,clarinetti I e II,sassofono soprano,sassofono tenore,corni I
    e II,bombardino e bassi.
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    73
    composizione maggiormente conosciuta ed apprezzata da parte dei
    militellesi e non solo, appare certamente come una delle creazioni musicali
    di maggior respiro melodico ed armonico del maestro Ignazio Bono Lanza.
    Dopo un lungo preludio dominato nettamente dall’inesorabile presenza
    dei clarinetti, si passa a quello che costituisce il cuore melodico del brano,
    rappresentato da un folto dialogo tra la tromba solista, il coro ed il resto
    della formazione strumentale, culminando in un denso finale, dove le
    potenze sonore della tromba solista insieme alla voce cessano insieme,
    lasciando la conclusione alla restante formazione strumentale.
    Questo il testo del brano 21:
    Popule meus, quid feci tibi.
    Popule meus, quid feci tibi.
    Quid feci tibi.
    Antiquo contrista vite,
    Risponde mihi.
    Antiquo contrista vite,
    Risponde Re.
    Risponde mihi,
    Risponde, risponde,
    Risponde mihi.
    Dalla sua data di composizione,il Popule meus viene inevitabilmente
    eseguito da parte dei vari corpi bandistici di Militello che si sono succeduti
    in tutti questi decenni (molto spesso anche con l’ausilio di violini oltre che
    dei consueti strumenti musicali tipici della banda), all’interno della mesta e
    solenne rievocazione del Venerdì Santo. Quando il simulacro del corpo
    del Cristo morto, sceso al tramonto dalla croce posta nella chiesa del
    monte Calvario, viene adagiato su di un letto finemente lavorato e
    sormontato da un sontuoso baldacchino, Risponde… inizia la processione
    funebre, con la quale il simulacro del Cristo morto, accompagnato dai
    fratelli della “Congregazione del SS. Crocifisso al Calvario”, viene portato
    per le vie della città, fino nella chiesa di S. Nicolò, all’interno della quale
    avverrà la sepoltura nel maestoso monumento sepolcrale.
    E’ proprio dentro questo percorso cittadino che i momenti più intrisi di
    emozioni, sono quelli rappresentati dall’esecuzione del Popule meus, nelle
    sue tre stazioni storiche, rappresentate dal quartiere denominato “Firrera”
    (nei pressi del convento di S. Leonardo), nel quartiere di S. Giovanni
    (davanti il convento di S. Giovanni) e in piazza S. Agata (davanti il
    monastero di S. Agata). Tra tutte queste tappe, però, sicuramente la più
    suggestiva e seguita è la prima, dove una folla di migliaia di fedeli si
    raccoglie d’innanzi alla statua del Cristo, ascoltando, immersi in un
    religioso silenzio, le meste musiche ed i sacri testi che compongono il
    Popule meus del Venerdì Santo.
    21 Testo presente nella partitura del Populemeus del Venerdì Santo,trascritta dal M°
    Montecassino.
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    74
    Per ciò che concerne, invece, il Popule meus del Giovedì Santo, possiamo
    dire che la sua data di composizione è presumibilmente posteriore a
    quello del Venerdì Santo22. L’elemento che ci induce ad affermare ciò è
    rappresentato dal fatto che mentre in un documento 23 della
    Congregazione del SS. Crocifisso al Calvario, indirizzato al direttore della
    banda musicale, si esorta il M° Ignazio Bono Lanza all’esecuzione del
    Popule meus, mentre in altri documenti relativi al 1932, che si riferiscono
    alla processione del Giovedì Santo non si fa nessuna menzione
    dell’esecuzione del Popule meus del Giovedì.
    Sotto il profilo strettamente musicale, possiamo dire che il Popule meus
    del Giovedì, appare per struttura molto simile a quello del Venerdì Santo.
    Anche in questo caso, infatti, la partitura ci indica l’uso di una ristretta
    cerchia di strumenti a fiato24, della tromba solista e del coro. Altro
    elemento di forte analogia,è quello rappresentato dalla stessa modalità di
    svolgimento del brano, improntato nuovamente su di un lungo preludio,
    dove molto forte è la presenza del flauto e dei clarinetti, lasciando spazio
    nella parte centrale al dialogo tra la tromba solista ed il coro. L’unica
    differenza sostanziale è invece rappresentata dalla melodia, che appare
    significativamente dissimile, rispetto a quella del Popule meus del venerdì.
    Per quanto riguarda il testo 25, come possiamo ben vedere, anche in questo
    caso le due composizioni musicali sono simili:
    Popule meus, quid fece tibi.
    Popule meus, quid feci tibi.
    Quid feci tibi.
    Antiquo contrista vite,
    Risponde michi.
    Antiquo contrista vite.
    Risponde, Risponde,
    Risponde michi, risponde Re.
    Risponde michi.
    Anche il Popule meus del Giovedì Santo, così, appare come un elemento
    strutturalmente significativo nell’ambito delle celebrazioni della
    “Settimana Santa” a Militello. Esso, infatti, è inserito all’interno della
    celebrazione del “Giovedì Santo”, quando il simulacro del “Cristo alla
    22 Nella copia anastatica del manoscritto autografo di cui siamo in possesso,non è
    riportata la data di composizione.
    23 Archivio musicale dell’ Ass. “A. Montecassino”,documento attraverso il quale,il
    governatore della Congregazione del SS. Crocifisso al Calvario S. Carrera,il
    23/marzo del 1932,illustra al direttore della banda di Militello gli orari delle
    manifestazioni relative al giorno del Venerdì Santo,raccomandando al direttore della
    banda,l’esecuzione del Popule meus.
    24 In partitura troviamo le parti relative ai seguenti strumenti a fiato:Tromba
    (flicornino),flauto,clarinetti I e II,sassofono soprano,sassofono tenore,corni I e
    II,bombardino e bassi.
    25 Testo relativo alla copia anastatica della partitura originale.
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    75
    colonna”, accompagnato in un mesto silenzio dai confratelli e da centinaia
    di fedeli, uscendo dalla chiesa di S. Maria della stella, compie il suo
    consueto percorso cittadino. All’interno di questo itinerario, possiamo
    agevolmente sottolineare come i momenti maggiormente suggestivi,sono
    quelli rappresentati dall’esecuzione del Popule meus del Giovedì Santo nelle
    sue cinque stazioni storiche, disposte secondo questo ordine: quartiere di
    S. Giovanni (d’innanzi al convento di S. Giovanni), via Roma (quartiere
    “Firrera”, nei pressi del convento di S. Leonardo), piazza Municipio
    (davanti all’ex abbazia di S. Benedetto), piazza S. Agata (di fronte il
    monastero di S. Agata) ed infine in piazza S. Maria della Stella, poco prima
    che la statua del Cristo alla colonna, rientri nel Santuario dove è custodito.
    Oltre che per i due Popule meus, la fama del M° Ignazio Bono è ancora
    viva nella memoria dei tanti militellesi per la composizione delle Cantate in
    onore di S. Maria della Stella e del SS. Salvatore,che accompagnano quelle
    che sono le due principali feste religiose patronali.
    Per ciò che concerne la Cantata della Madonna della Stella, è possibile
    affermare che venne scritta dal maestro Ignazio Bono Lanza
    presumibilmente nel 1937 26. Essa viene eseguita il 29 agosto di ogni anno,
    nell’ambito della processione per le vie della città del quadro raffigurante
    il volto di S. Maria della Stella. Ed è all’interno di questa festosa
    celebrazione devozianale, che fa da preludio ai momenti più intensi dei
    festeggiamenti in onore di S. Maria della stella del 7 ed 8 settembre, che la
    Cantata viene eseguita per ben 12 volte nelle consuete storiche tappe27,
    lungo tutto il percorso cittadino.
    Realizzata per banda e coro, dopo una breve introduzione, essa
    propone la melodia principale che accompagna il seguente testo 28:
    Militello di pregi t’adorna
    Come madre ricolma d’amore
    Come stella di d’immenso splendore
    Te di scorta all’eterno Signore.
    Ergi alla Vergine
    Volgi stasera
    Fervente popolo
    La tua preghiera
    Preludio e termine
    26 Non conoscendo la data di composizione a causa della mancanza della partitura
    autografa,datiamo la Cantata intorno al 1937,poiché il maestro Antonino
    Montecassino,che proprio in quegli anni suonava nella banda del M° Bono,ci diceva
    che quella scritta in onore a S. Maria della Stella,era stata scritta due anni prima
    rispetto alla Cantata intitolata al SS. Salvatore (1939).
    27 In ordine: piazza S. Maria della Stella,via San Giovanni,piazza della Torre,via
    Roma (quartiere “ Firrera”),via Roma,via Monte Grappa,via Spasimo,via
    Cavour,corso XX Settembre,piazza Municipio,piazza S. Agata e piazza V.
    Emanuele.
    28 Cfr. Mario Ventura,Antologia militellana,La Nuovagrafica,Catania 1979,p. 55.
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    76
    Di speme e d’amor
    Quanto alla Cantata del SS. Salvatore, innanzitutto possiamo dire con
    certezza che essa venne scritta a Militello il 03/08/1939 29. Composta per
    banda30, tromba solista e coro, sotto il profilo prettamente musicale, si
    presenta come una delle composizioni maggiormente complesse del M°
    Ignazio Bono Lanza. Da una prima occhiata alla partitura, infatti, è
    possibile scorgere l’utilizzazione, sotto il profilo della strumentazione,
    oltre che di innumerevoli e variegati strumenti musicali, la presenza in
    particolar modo di strumenti come il clarone o il clarinetto contralto, i
    quali non sono presenti nelle partiture di altre composizioni del M° Bono
    delle quali siamo in possesso. Altra nota di particolare interesse è quella
    che si riferisce alla presenza nella partitura di una lunga introduzione,
    dominata da un intreccio armonico tra i vari strumenti, che porta ad una
    parte centrale caratterizzata dal dialogo tra la tromba solista ed il coro,
    cosa che conduce ad un finale veramente trionfale.
    Questo il testo del brano di S. Valenti 31:
    Alla gioia del canto usato
    Militello sciogli il core
    Già s’appressa il dì beato
    Del Divin Salvatore
    Oh, dì per noi felice
    I tuoi momenti affretta
    La gioia che ci aspetta
    Gioia mortal non è.
    Ivan s’oppone il drago altero
    Non puote il mondo intero
    Gran Dio,rapirci a te.
    A conclusione di questa breve analisi musicale dalla Cantata in onore
    del SS. Salvatore, che per ovvi motivi di contesto abbiamo condotto in
    maniera del tutto generale e sommaria, dobbiamo aggiungere che essa sin
    dal 1939 viene seguita il 9 agosto di ogni anno nelle 12 stazioni storiche 32
    lungo tutto il percorso cittadino, quando il quadro raffigurante il volto del
    SS. Salvatore, viene portato in processione per le vie della città. Un evento,
    questo, inserito all’interno della celebrazione dei festeggiamenti in onore
    29 Nel manoscritto della partitura autografa troviamo la seguente indicazione:Militello
    Val di Catania,3/8/1939,I. Bono compose.
    30 Nella partitura autografa troviamo indicati i seguenti strumenti musicali da
    adoperarsi:flauto ed ottavino in do,clarinetto piccolo,clarinetti I e II,clarinetto
    contralto,clarone,cornetta e flicorno soprano I e II,corno I,II e III,genis I,II e
    III,Trombone cant. Le,tromboni d’accom.to,bombardini I e II,bassi e batteria.
    31Cfr. M. Ventura,op. cit.,p. 54.
    32 In ordine: d’innanzi al sagrato della chiesa di S. Nicolò SS. Salvatore,via S.
    Giovanni,piazza della Torre,via Roma ( quartiere “ Firrera”,nei pressi del convento di
    S. Leonardo,via Roma,via Monte Grappa,via Spasimo,via Cavour,corso XX
    Settembre,piazza del Municipio,piazza S. Agata e piazza V. Emanuele.
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    77
    del SS. Salvatore, che trova la sua massima intensità nelle giornate del 17 e
    del 18 agosto.
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
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    SALVATORE (TOTO’) PALERMO, MUSICISTA
    (Militello in Val di Catania, 1911 – ivi 1973)
    di Pio Salvatore Basso
    Totò Palermo, figaro per necessità, musicista per passione, compositore
    eclettico, polistrumentista (violino, pianoforte, clarinetto, strumenti a
    plettro), si inserisce con pieno merito nella ristretta cerchia dei
    dilettanti di genio che hanno contribuito ad arricchire la storia
    artistico-musicale militellese del XX secolo, ed in particolare modo, del
    teatro in musica, che vide una stagione estremamente fruttuosa nei
    primi anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale.
    In una tale temperie culturale, Palermo realizzò una serie di opere in
    stretta collaborazione con il professor Giuseppe Santo, militellese
    d’adozione, autore delle liriche e dei dialoghi, che, a detta delle cronache
    del tempo, si caratterizzarono per la loro “musica delicata, fine e
    riccamente armonizzata”, che esprimeva la “padronanza e il senso
    artistico” dell’autore, nonchè la “spontaneità della sua vena musicale”.
    La gloriosa ribalta del Cinema-Teatro Tempio vide pertanto la
    rappresentazione delle fiabe sceniche Fioralba (1946), con il debutto
    artistico di un predestinato Pippo Baudo nel ruolo del principe Belgiorno
    “audace ed intrepido liberatore” di principesse, e Il monile incantato (1949),
    due vere e proprie operette ricche di episodi musicali, del bozzetto
    drammatico-patriottico Triste ritorno (1947) e dello scherzo comico Messer
    Pancione (1947), con i “frizzi umoristici e faceti” del solito Pippo Baudo.
    Oltre alle opere citate, Totò Palermo ha lasciato moltissime altre
    composizioni che coprono un periodo documentato di circa 45 anni, di
    alcune delle quali esiste l’incisione su supporto magnetico e
    discografico. Per la musica sacra si segnala un Popule Meus da cantare nel
    giorno del Venerdì Santo, e l’intensa Salve Maria, che il maestro Palermo
    eseguì personalmente al violino (con accompagnamento di voce ed
    organo) in occasione delle nozze della figlia Salvatrice nel 1957.
    Alcuni brani, inoltre, sono stati composti per eventi particolari della
    storia religiosa militellese, come gli Inni Giubileo sacerdotale, dedicato al 25°
    anniversario di sacerdozio dell’arciprete Don Biagio Giuseppe Bellino
    (1965) e Oggi come sempre, con cui fu celebrata l’elettrificazione delle
    campane della Chiesa Madre, sempre nel 1965. A questi si deve
    aggiungere l’ Inno alla Madonna delle Grazie, che si esegue durante i
    Festeggiamenti della patrona di Castel di Judica, e l’accorata Preghiera per
    la pace mondiale, prima classificata al Premio Nazionale di Poesia e Musica
    Sacra “Padre Pio da Pietrelcina” nel 1972.
    La rimanente produzione musicale del maestro Palermo è costituita da
    molti brani di musica leggera (qualche titolo: Maria, Occhi di mare) e dai
    caratteristici ballabili (mazurke, polke, one-step, valzer, tanghi).
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    79
    LE MUSICHE DEL MAESTRO MONTECASSINO
    di Giuseppe Ragusa
    Il maestro Antonino Francesco Montecassino, eclettico strumentista,
    compositore, direttore, educatore ed assai generoso filantropo, certamente
    è annoverabile all’interno di quella vasta cerchia di ingegni in ogni campo
    dello scibile umano, che hanno dato tanta fama alla ricca e gloriosa storia
    della città di Militello.
    Nato a New York il 9 Aprile del 1916, è proprio negli Stati Uniti che il
    giovane Montecassino, investito da quell’autentica passione per la musica,
    inizia da autodidatta lo studio del clarinetto, che continuerà in maniera
    maggiormente approfondita a Militello, nell’ambito di quell’eccellente
    contesto formativo rappresentato dal civico corpo musicale locale.
    Fatto ritorno, infatti, a Militello nei primi anni venti insieme alla
    famiglia, nel 1925, all’età di nove anni, venne accolto all’interno del corpo
    bandistico “Benito Mussolini” 33 di Militello, su indicazione del talentuoso
    primo clarinetto della locale banda Paolo La Micela 34 (Militello, 8
    Novembre 1893 – 22 Marzo 1930), il quale, avendo avuto modo di
    apprezzare le spiccate doti musicali del giovanissimo Antonino
    Montecassino, lo indicò al direttore bandistico Francesco Le Favi 35
    (Militello, 21 Ottobre 1876 –8 Luglio 1956 ), che lo accolse nella sua banda,
    dopo averne testato personalmente la non comune bravura.
    Durata circa otto anni, l’esperienza musicale di Antonino Montecassino
    nel corpo bandistico di Militello divenne per il giovane talento
    estremamente formativa sotto molteplici aspetti. Innanzitutto perché egli
    ebbe la possibilità di affinare la sua bravura, confrontandosi, oltre che con
    validissimi musicisti suoi colleghi, anche con i vari direttori, come Diego
    Carlo Flaccomio 36 da Barcellona (Messina) ed Ignazio Bono Lanza, che nel
    frattempo si erano avvicendati nella direzione della banda musicale. E
    soprattutto perché il Montecassino ebbe la fortunata opportunità di
    districarsi musicalmente con alcune delle più belle ed allo stesso tempo
    33 Il corpo musicale di Militello,assunse il nome di banda “B. Mussolini” a partire dal
    20 Ottobre 1923,divenendo civica,quindi direttamente dipendente dal Comune,a
    partire dall’1 Gennaio dello stesso anno.
    34 I clarinetto della banda “B. Mussolini” di Militello fino al 1925,divenendo
    successivamente direttore del corpo bandistico della città di Nicolosi,I oboe della
    prestigiosa banda municipale di Catania,sotto la prestigiosa direzioni dei celebri
    maestri Raffaele D’Elia prima e di Giovanni Pennacchio dopo.
    35 Direttore della banda musicale “B. Mussolini” di Militello,su incarico
    dell’Amministrazione Comunale,dall’Agosto 1923 al Giugno 1928,succedendo
    nell’incarico al capo banda Salvatore Greco.
    36 Diresse la banda musicale di Militello e l’annessa scuola civica di musica dal 1
    Luglio 1928 al Marzo 1929,su incarico dell’ Amministrazione Comunale di Militello
    del 14/06/1928.
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    80
    assai difficili pagine della musica operistica, sinfonica e popolare di ogni
    tempo, che costituiva costantemente il repertorio della banda municipale.
    Sempre in questa direzione, altra nota assai importante che bisogna
    sottolineare è quella rappresentata da un’altra straordinaria opportunità
    che ebbe Antonino Montecassino in seno a questa
    esperienza,rappresentata dalla proficua conoscenza che egli riuscì
    certamente ad acquisire,nei riguardi della natura e della modalità di
    utilizzazione di tutti gli strumenti a fiato ed a percussione utilizzati dalla
    banda. Un bagaglio di conoscenza musicale, questo, che gli servirà
    successivamente per l’insegnamento e soprattutto per l’attività di
    strumentazione e composizione per banda.
    Una altro particolare aspetto che bisogna mettere bene in evidenza,
    sempre nell’ambito della breve esperienza bandistica del giovanissimo
    Montecassino, è quella che si riferisce in particolar modo al suo rapporto
    piuttosto tumultuoso col maestro Ignazio Bono Lanza. I rapporti tra il
    piccolo talento e l’austero maestro di origine calatina, nei quattro anni in
    cui ebbero l’opportunità di confrontarsi, se pur basati su di una solida
    stima reciproca, non furono certamente idilliaci. La causa di questi accesi
    dissensi, fu proprio l’eccessivo ed allo stesso tempo precoce talento
    artistico del giovanissimo Montecassino, che metteva in imbarazzo il suo
    direttore Ignazio Bono, nell’ambito dell’assegnazione delle prime parti dei
    brani che si dovevano eseguire.
    Alla base di tutto ciò, vi fu il fatto che il maestro Ignazio Bono, folgorato
    dalla bravura del Montecassino, assegnava a quest’ultimo i ruoli più
    importanti ed impegnativi da eseguire, suscitando quindi la rabbia di altri
    musicisti, che spinti da invidia, tentarono (con esiti che successivamente
    risultarono essere efficaci) di fare pressioni sul loro maestro, affinché
    questi desistesse dall’esaltare il talento di quel giovane clarinettista.
    Dinnanzi a queste pressanti richieste e per paura che questi malumori
    potessero destabilizzare l’armonia di tutta la comunità musicale, il maestro
    Bono fu costretto a cedere alle forti pressioni dei suoi musicisti, relegando
    Montecassino alle seconde file, nonostante questi fosse risultato primo in
    ogni esame al quale era stato sottoposto dal suo direttore musicale.
    In seguito a ciò, Antonino Montecassino decise di rompere ogni
    rapporto con il direttore e tutto l’ambiente bandistico,continuando
    privatamente e sempre da autodidatta lo studio della musica. A questa
    punto non valsero nemmeno i ripetuti tentativi da parte degli altri suoi
    amici musicisti e dello stesso maestro Bono, il quale nel frattempo era
    ritornato sui suoi passi, capendo la gravità dell’errore che aveva
    commesso.
    Se non altro, il fatto che Antonino Montecassino si sentì libero da
    qualsiasi impegno con la banda, dopo quasi otto anni di militanza al suo
    interno, giovò moltissimo alla sua formazione musicale, in quanto, oltre al
    clarinetto, egli iniziò a maturare ed a realizzare la sua passione per gli
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    81
    strumenti a corda. Uno studio, questo, che egli continuerà a perfezionare
    successivamente, nell’ambito della sua lunga permanenza negli Stati Uniti.
    Era, infatti, l’Aprile del 1933 quando il diciassettenne Montecassino,
    insieme alla famiglia, partì alla volta degli Stati Uniti, sull’onda di quel
    massiccio fenomeno di emigrazione verificatosi nella primi decenni del XX
    secolo.
    Sbarcato a New York il 31 Maggio del 1933, la premura del maestro
    Montecassino fu subito quella di riuscire a continuare gli studi musicali. Al
    fine di ciò e tenendo ben presente la difficile situazione economica della
    sua famiglia, che non poteva certamente sostenere il costo delle lezioni
    musicali del figlio, egli approfondì gli studi musicali facendosi prestare i
    testi e gli appunti musicali da un suo carissimo amico, che frequentava la
    scuola di formazione musicale del noto maestro ed arrangiatore jazzista
    italo-americano Otto Cesana 37. Avendo verificato gli straordinari
    progressi che Montecassino aveva raggiunto solo con le sue forze, il suo
    amico, che lo aveva così tanto sostenuto ed incoraggiato, lo presentò al
    Cesana stesso, il quale, ammirando il talento non comune che quel giovane
    mostrava, non mancò di aiutarlo, indirizzandolo verso l’insegnamento
    della musica nelle scuole.
    L’attività didattica trentennale a New York, all’interno della quale ebbe
    l’opportunità di curare svariati generi musicali (andavano dalla musica
    popolare da ballo al jazz, dalla musica sinfonica a quella operistica), portò
    il maestro Montecassino all’insegnamento degli strumenti ad ottone (ance)
    ed a corde (chitarra e mandolino) in diverse scuole di musiche, tra le quali
    figurano le rinomate “Melody Music Center” ed “Urlitzer” di New York.
    Da questa sua attività di insegnamento nacquero tanti talenti, tra i quali
    possiamo citare il chitarrista italo-americano Michele Saluzzi, che ha avuto
    la bravura (ed allo stesso tempo anche la fortuna) di calcare importanti
    palcoscenici, a fianco di celebrità della musica come Ella Fitzgerald, Judy
    Garland, Roger William, Earl Bastick, ecc.
    All’insegnamento Antonino Montecassino affiancò anche l’attività di
    composizione, scrivendo decine e decine di brani di musica popolare da
    ballo, che incise con le case discografiche “Capital” e “Standard” (Victor).
    Non mancarono neppure i lavori di arrangiamento, che portarono alla
    realizzazione di importanti trascrizioni per tanti strumenti a corde ed a
    fiato, così come ci fu un’intensa attività concertistica, che lo vide
    protagonista di innumerevoli concerti, da solista e in formazioni musicali.
    Dopo trent’anni di permanenza negli USA, l’oramai quarantasettenne
    Antonino Montecassino nel 1963 decise finalmente di fare ritorno in Italia.
    Arrivato a Militello, dopo un’iniziale e brevissimo periodo di riposo,
    non seppe resistere alla tentazione di trasmettere la sua cultura musicale ai
    militellesi. Tra le prime iniziative che intraprese, ci fu quella di fondare
    37 Tra le altre cose,egli era stato curatore degli arrangiamenti dei brani del famoso
    jazzista Henry James.
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    82
    una scuola di musica, rigorosamente gratuita, per la formazione di giovani
    musicisti, finalizzata alla formazione di una banda locale.
    Per ciò che concerne la banda musicale, possiamo affermare che essa
    rappresenta sicuramente un capitolo a parte. Una volta fatto ritorno a
    Militello, infatti, Montecassino capì che del prestigioso ed efficientissimo
    corpo bandistico civico che egli aveva lasciato erano rimaste soltanto le
    macerie. Esso, infatti, sciolto dal Consiglio Comunale di Militello nel 1957,
    era stato smembrato, dando origine a due piccole bande musicali che, per
    poter svolgere correttamente le loro funzioni, avevano bisogno di ricorrere
    alle prestazioni di musicisti provenienti dai paesi limitrofi.
    Posto dinnanzi a questa incresciosa situazione, il maestro Montecassino
    riuscì ad accorpare le due piccole bande in una, alimentandola con
    giovanissimi e promettenti musicisti. Grazie a questa sua infaticabile
    attività, come per incanto il corpo bandistico di Militello ritornò a
    splendere di luce propria, fino ad arrivare agli ottanta elementi, quando
    l’opera venne completata con la fondazione dell’Associazione musicale
    “V. Bellini”, che rappresentò il collante tra la banda e la scuola di musica.
    Un altro piccolo miracolo che Antonino Montecassino riuscì a compiere
    nell’ambito della sua attività di guida musicale fu la fondazione, per la
    prima volta a Militello, di una Jazz band, con la quale tenne diverse
    esibizioni, riscuotendo enormi consensi di pubblico.
    Bisogna sottolineare, altresì, che oltre all’insegnamento ed alla direzione
    della banda, Montecassino raggiunse notevoli successi anche sotto il
    profilo compositivo. Ne sono testimonianza le marce funebri ed allegre, un
    numeroso corpus di musica popolare da ballo (Polke, tarantelle, mazurke,
    valzer, ecc.), innumerevoli arrangiamenti ed un Canzoniere rimasto
    incompiuto.
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    83
    SPETTACOLI POPOLARI
    A FICUDINNIA
    (31-12-1997)
    di Franco Trincali
    Scritta per la “Sagra del ficodindia e della mostarda”, che si tiene la seconda
    domenica di ottobre. Si trova in un manoscritto, datato e firmato.
    ‘U suli m’arrisbigghia a matinata
    E si va posa supra a sipala
    Unni c’è didda, nica e accucciata
    Ca va civannu u sucu di la pala.
    Iu cu l’occhi la vaiu criscennu
    E li me jorna a idda ci li spennu
    Ma l’occhi idda mi li lassa asciutti
    Pirchì l’amuri so lu duna a tutti.
    E ora ca nun è cchiù piciridda
    E si cukurau di pumidda
    Tutti di idda s’anu nnamuratu
    Pa furma e u culuri c’a pigghiatu
    Ah! Comu si’ furmusa e chi si’ bedda
    Quannu ti lavi sutta a funtanedda
    Spugghiannu la to vesti di li spini
    E ammustri a tutti li to carni fini!
    E nun m’importa si cu li raneddi
    E li to spini tu mi punci a peddi.
    Quannu ti pigghiu a vasi e muzzicuni
    Sulu ducizza ‘nvucca tu mi duni.
    Un ghiornu pi seguiri la me stidda
    Lassai la casa arreri la vanedda.
    Ma, mi purtai dappressu un pezzu d’idda
    ‘Nturciuniatu dintra a li budedda.
    E partu, arripartu e comu sempri
    La vegnu a ritruvari nta settembri
    Quannu ci fanu festa e ‘ntulittata
    La vidu frisca, mpinta e trasfurmata.
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    84
    Pi d’idda è la Sagra nta jurnata
    Ditta da ficudinnia e a mustata
    Unni cunturnatu a passiluni
    C’è u tronu di lu re: u bastarduni.
    Ora ca sugnu jancu e vicchiareddu
    Nun lassu cchiù sta casa a la vanedda
    Pirchì mi sentu vivu e picciutteddu
    Quannu muzzicu a ttia, ficudignedda!
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    85
    L A SETTIMANA DEL BAROCCO A MILITELLO
    Tutti i testi della “Settimana del barocco a Militello” sono stati scritti da
    Salvatore Paolo Garufi. I registi che ne hanno curato le edizioni sono stati
    Giovanni Anfuso, Elio Gimbo, Gioacchino Palumbo, Salvo Spampinato, Fernando
    Balestra, Turi Giordano, Emanuele Puglia. Un momento di particolare successo
    hanno riscosso le rappresentazioni della “Partita di scacchi viventi”, che hanno
    vista la partecipazione di attori del Teatro Stabile di Catania, oltre che di
    interpreti prestigiosi, fra le quali Elisabetta Cardini. Nella primavera del 2006
    una versione della “Partita di scacchi viventi” è stata rappresentata durate
    “L’infiorata di Noto”, regista Elio Gimbo.
    CORTEO DEL PRINCIPE
    (1995)
    Personaggi: Cantante. Tamburino, Pietro Carrera, Arciprete, Donna
    Dorotea, Mario Tortelli, Capitano delle guardie. Valletto (che non parla),
    Don Francesco Branciforti, Donna Giovanna d’Austria
    Quadro I
    (Atrio del castello: partenza del Corteo. Trombe, tamburi, sbandieratori,
    cavalieri)
    TAMBURINO (davanti al corteo) – Scutati, scutati, filicissimi abitanti di
    chista antica terra! Scutati, visitatura di lu munnu spirdutu e
    minchiuniscu! Arricugghitivi, jatti di casa e jatti forasteri!… Viniti, viniti
    tutti e scutati lu decretu, sperti e babbasuni, viddani e sucanchiostru,
    assicutafimmini e mariti pacinziusi, carusazzi e viecchi di quali si voglia
    grado, sexo et condizioni! … D’ordine delli giurati di la terra di Militieddu
    Val di Notho, si dispone et provvede magnificu splennori di cannilora,
    sfarzu et solennitadi… A partiri dall’odierno et corrente die, aut dir si
    voglia di la jurnata d’auoggi ………………(data variabile)……….……….
    di chistu anno domini di lu milleseicientuquattru, ‘nno ppi ssira, c’è
    cuntintizza e sasizza pi tutti! Stanotti c’è la festa pi lu ritornu
    dell’Illustrissimo et Eccellentissimo Signuri don Franciscu Branciforti,
    Prencipi di Pietraperzia et Marchisi di Militeddu… Faciti gaudiosa schiera
    a lu passari di lu Prencipi e di la so bedda mugghieri, la serenissima donna
    Giovanna d’Austria!… Salutati cu lu giustu trionfu li sposi e dati anuri a
    tutta l’honesta nobilitadi ca li accumpagna!
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    86
    (Mentre il tamburino annuncia, si esibiscono giocolieri e artisti del
    teatro di strada, vestiti da popolani).
    Quadro II
    (piazza Santa Maria della Stella. Dal sagrato della chiesa don Pietro
    Carrera va incontro al principe)
    CARRERA – Felice questa terra di Militello Val di Noto, figlia che ha
    ritrovato il nobile padre e la mano valorosa che saprà condurla nel
    faticoso, ma retto, sentiero della gloria e del decoro!… Io, don Pietro
    Carrera, canonico in Santa Maria della Stella e con le deboli forze del mio
    ingegno servo fedele dell’eccellentissima signoria vostra, grato del
    compito affidatomi, rendo omaggio a voi, nobile principe!… Questa terra
    di Militello, fedele e bellicosa, come l’imperatore Carlo V si compiacque di
    chiamarla, più d’ogni altra terra anela a dare nuovi esempi di valore,
    adeguati al suo orgoglio per l’esser stata patria dei vostri avi e per essere
    nei dì presenti parte prediletta del cattolicissimo impero di Spagna!… Alla
    serenissima donna Giovanna d’Austria, vostra sposa e nostra signora,
    vogliamo, invece, affidare il cuore! Con lei giunge a noi quella nota di
    gentilezza e di beltà, che, se ci lascia intatta la fierezza, non ci concede di
    degradarci a bruti, ragion per cui qui la forza non avrà mai il volto arcigno
    della barbara prepotenza!
    Quadro III
    (piazza San Nicolò. Spettacolo e benedizione del corteo)
    CANTANTE:
    Nell’isola del Sole,
    Che in triplicata fronte al mar si sporge
    E da tre mari è cinta e le tre parti
    Contien dell’Universo e raffigura,
    Quasi un picciol ritratto…
    Incanta Militello
    Il sentimento di colui che passa.
    Dirimpetto a quel monte
    Sotto la cui gran mole oppresso freme
    L’iracondo Tifeo, dove a diritto
    De’ leontini campi in ver l’occaso
    Terminan le pianure…
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
    87
    Incanta Militello
    Il sentimento di colui che passa.
    A’ pie’ de’ vaghi colli
    Tra frondeggianti valli ed erte rupi,
    Nell’ombra premurosa delle Chiese
    Dov’è preghiera l’arte e si fa canto
    Il sorriso di Dio…
    Incanta Militello
    Il sentimento di colui che passa.
    (testo: Pietro Carrera – Salvatore Paolo Garufi)
    ARCIPRETE: Nella volontà del Signore ed a maggior gloria del nostro
    cattolicissimo sovrano, lunga e felice vita alla nobilissima città di Militello!
    Quadro IV
    (piazza San Benedetto. Balcone dei cortigiani).
    DOROTEA (entrando con Tortelli) – Mi dicono che oggi ci sarà gloria
    pure per voi, eccellentissimo don Mario Tortelli!
    TORTELLI (s’inchina e bacia la mano di Dorotea) – E’ l’antico privilegio
    del mio mestiere di cortigiano, cortesissima donna Dorotea… Ma, come
    sempre, mi stimerò molto più fortunato strappandovi un sorriso!
    DOROTEA – Un sorriso, dite?
    TORTELLI – Sol per esso questa notte ho scongiurato le stelle.
    DOROTEA – Grazie, anche se ho un po’ paura di tanta stravagante
    retorica.
    TORTELLI (avvicinandosi all’orecchio di lei):
    Perché quel lino il sen vi copre e vela?
    Temete che di fore
    Non vi si vegga Amore,
    Ch’entro a le mamme il fier s’annida e cela?…
    …(le gira intorno)…
    No, no, a mio senno fate,
    E scoprite e svelate;
    Non sapete che il crudo
    Da che nacque si fa vedere nudo?
    (testo di Mario Tortelli)
    DOROTEA – Amico mio, ho paura che non otterrete un granché con la
    poesia… le donne di poco giudizio non la capiscono e quelle di molto
    giudizio ne conoscono gli inganni!
    TORTELLI – Avete il cuore duro, signora!
    AA. VV., Le voci fra gli sterpi
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    VOCE DEL CAPITANO DELLE GUARDIE – Il Principe don Francesco
    Branciforti!
    QUADRO V
    (Il principe si affaccia dal balcone. Prende da un valletto l’antica spada)
    PRINCIPE (alzando la spada) – Questa spada fu il segno dell’orgoglio,
    quando i miei avi difesero la corona dai felloni e liberarono queste belle
    contrade dai moriscos e dai marrani!… E’ di ferro pesante, come la parola
    data dagli uomini che l’hanno impugnata!… Ma, essa fu pure l’arma con la
    quale l’ira dei miei avi si mostrò devastante sul corpo dei nemici!… Le luci
    e le ombre dei principi, il loro coraggio leale e la loro prepotenza
    arbitraria, si racchiudono in questa spada!… Io la portai con me nel lungo
    soggiorno alla corte di Spagna. Sentirne il peso sul fianco era memento del
    mio casato e conforto alla nostalgia per la patria lontana!… Oggi, per mia
    volontà non più simbolo di forza brutale, essa si erge come madre
    protettrice, a custodire la giustizia ed il benessere!… (Si volge verso la
    sposa)… Ciò per mia volontà ed in omaggio alla vostra presenza, mia
    signora!… (S’inchina e le porge la spada)… A voi, principessa, consegno
    l’amore di questo popolo che io amo… e che nei secoli serberà il ricordi di
    noi due, se Dio ci darà il tempo di dimostrargli come il retto governare,
    reso gentile dalla vostra signoria, sia fonte di universale felicità e
    prosperità!
    PRINCIPESSA (facendolo alzare e riconsegnandogli la spada) – Rendo
    grazie al mio destino, poiché volle farmi il bene di rendermi sodale di un
    proponimento tanto nobile!… Rendo grazie e m’impegno a meritare il
    premio, servendo accanto a voi, mio sposo, la volontà di Dio, secondo i
    comandamenti della Santa Romana Chiesa Cattolica e secondo gli interessi
    della corona di Spagna, che di tali comandamenti è incarnazione
    invincibile!
    Fuochi d’artificio. Fumo sul balcone a coprire le figure, poi buio.
    FINE DEL CORTEO

AA. VV., Le voci fra gli sterpi
89
PARTITA DI SCACCHI VIVENTI (VINCENZO BONAIUTI)
(1997)
Personaggi: Nicola Russo, Mario Tortelli, Lucia Tranquilli, Nina,
Vincenzo Bonaiuti, una guardia, don Francesco Branciforte, donna
Giovanna d’Austria, don Pietro Carrera, don Federigo Vargas, figuranti
per la partita a scacchi, guardie del principe, musicisti.
Scena I
Personaggi: Nicola Russo, il banditore.
(Strada che porta all’Atrio del Castello).
NICOLA (lungo tutto il percorso) – Venite, uomini e donne della nobile
e bellicosa città di Militello!… (rullo del tamburo) Venite, per essere solenni
testimoni d’una maravigliosa guerra d’ingegni!… (rullo del tamburo) Don
Pietro Carrera, erudito storiografo e gloria poetica della corte del principe
don Francesco Branciforte… (rullo del tamburo) incrocerà l’acuta lama
della sua perizia nel guoco degli scacchi… (rullo del tamburo) contro
l’arma universalmente reputata invincibile… (rullo del tamburo)
dell’imtelletto mirabile di don Federigo Vargas, hidalgo e pari di Spagna!…
Scena II
Personaggi: figuranti per la partita a scacchi, don Mario Tortelli, il
banditore, poi Lucia Tranquilli, cognata di Nicola.
(Atrio del Castello. Fervono i preparativi per la partita a scacchi, sotto la
direzione di don Mario Tortelli. Il banditore entra con comica solennità –
chi lo interpreta deve avere capacità di mimo – ed attacca col suo annuncio.
Ripetutamente, intralcia il lavoro di don Mario Tortelli, finché i figuranti si
scoraggiano e si stravaccano per terra. Tortelli urla “Basta!”. Nicola, dopo
un sospirone di stanchezza, fa rullare fragorosamente il tamburo. Tortelli
lo fulmina con gli occhi, dicendo “Ancora?!”. Nicola prima lo guarda quasi
intimidito e poi fa di nuovo rullare il tamburo. Subito dopo ha un gesto e
dice: “Io che ci posso fare?”. Al terzo rullo del tamburo, Tortelli, dopo un
gesto indispettito, incrocia le braccia, in rassegnata attesa).
NICOLA (a Mario Tortelli) – Abbiate pazienza!… (indica il tamburo, poi
lo fa rullare)… Sapete, per me si tratta del pane!
MARIO (stizzito) – Anche per me!
NICOLA – Io sono un poveraccio!
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
90
MARIO – Rinunciate al pane, quindi!… Accontentatevi della biada, come
gli asini!
NICOLA – Non sarà una cosa lunga, eccelleza!… Faccio ancora un
annuncio e mi pongo di lato!
MARIO – Sbrigatevi, allora!… Mi sa che il vostro scusarvi rischia di
essere più lungo e pernicioso di quel tamburo infernale!
NICOLA (accenna ad eseguire un rullo) – Allora vado?
MARIO – Andate!… E poi andatevene al diavolo!
NICOLA (si stringe nelle spalle e fa rullare il tamburo) – Sudditi della
fedelissima città di Militello!… (Rullo del tamburo)… Il principe don
Francesco Branciforte… (rullo del tamburo)… signore di questa terra per
volontà dei Cattolicissimi Sovrani di Spagna… (rullo del tamburo)… e con
la benedizione di Santa Romana Chiesa… (rullo del tamburo)… ha disposto
che oggi, tre settembre del milleseicentosei… (rullo del tamburo)… una
partita di scacchi sia giocata… (rullo del tamburo)… Don Pietro Carrera,
storiografo e poeta della corte di Militello, si batterà in singolar tenzone
d’ingegni contro l’hidalgo don Federigo Vargas!
MARIO – Bene. Ora, toglietevi dai piedi ed andatevene alla malora!
(Tortelli riprende il suo lavoro. Ma, Nicola, contento, dopo aver detto
“Oh, finalmente è finita!” , si sfrega le mani, posa a terra il tamburo,
rumorosamente, e si volge ad un vicino balcone).
NICOLA (urlando) – Nina!… Oh, Nina!… Portami giù un po’ di vino,
ché tutto il gridare d’oggi mi ha fatto venire una gran sete!
(Tortelli si volta stizzito verso Nicola).
LUCIA – (Affacciandosi al balcone) – Urli al vento, cognato!… (Ridendo)
Nina è corsa ad acchiappare il suo posto in paradiso… così (apre la bocca)…
come la rondine fa coi moscerini!… A bocca aperta!… Ti pare che la gente
sbaglia, quando la chiama Nina “a babbasuna”?
NICOLA – Che vai cianciando, malanuova il giorno in cui entrasti in
casa mia!… Dov’è andata Nina?
LUCIA – Te l’ho detto: da Gesù!
NICOLA – Mentre tu sei andata a scolarti un’intera botte!… Bada a che
io non salga sopra, a rimetterti in sesto il giudizio a suon di legnate!
LUCIA – Conservale per tua moglie, codeste legnate!… Ché adesso, lei e
le altre sventate sue pari, se ne stanno a strascicarsi ginocchioni e ad
ascoltare le prediche di un tizio che sostiene di essere il figlio di Gesù!
MARIO (si avvicina divertito) – Questa sì che è una notizia portentosa!…
Abbiamo, dunque, il figlio del figlio di Dio!… Dio, così, è diventato nonno!
Il tempo passa per tutti… C’è poco da fare!
LUCIA (segnandosi) – Avete detto una cosa strana, eccellenza!… Non
vorrei che fosse pure una cosa brutta.
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
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MARIO – Vi pare che io abbia bestemmiato?
NICOLA – Già!… Non si può scherzare su Dio!… L’inquisizone può
prendere a male questa faccenda di Dio che diventa nonno!… Vi è andata
bene, poiché ad ascoltarla c’erano delle persone perbene come noi!… (lo
guarda sospettoso) Ma, un momento!… Ditemi!… Non vorrei che, proprio
voi, alla fine, risultiate una spia dell’inquisizione?
MARIO – Tranquillo, messer coraggio!… Sapete bene che sono soltanto
un cortigiano… Non lavoro per il rogo, ma per rendere più pompose le
esibizioni di chi comanda!
NICOLA – Per la verità, non so dire chi dei due faccia più danno, tra le
spie e voi uomini di lettere!
MARIO – Per la verità, non non saprei dirlo neppure io!
LUCIA (civettuola) – Io, eccellenza, mi chiamo Lucia… Lucia Tranquilli!
MARIO (dopo un galante inchino, con allegria) – Lucia!… Fu una scelta
davvero felice, quella che fece chi vi ha messo al mondo!… La dolcezza del
nome mi pare un’adeguata compagna della florida bellezza del vostro
viso!… (torna ad inchinarsi) Io sono don Mario Tortelli, giurista ed
assessore del principe don Francesco Branciforte!
NICOLA (sghignazza) – Avete detto bene, a proposito dei nomi!
Guardate me! Anch’io ho il nome che mi diedero mio padre e mia madre…
e non me l’hanno dato a caso!… Mi chiamo Nicola ed i tre pani di San
Nicola debbono protergermi dalla fame!… Per questo, oggi il mio santo mi
dice che debbo star lontano da voi!
MARIO (ride) – Avete un gran coraggio, messer devoto!… Nei guai,
però, c’è vostra moglie, non io!
LUCIA (a Nicola, come per tagliare un discorso che si fa spiacevole) – Ti
porto giù un po’ di vino, cognato mio!… Poc’anzi, hai detto di avere la
gola secca… (guardando Mario, con civetteria di donna) e credo che anche
voi, eccellenza, vogliate dar sollievo alla vostra arsura!
(La donna rientra in casa).
NICOLA – Non lusingatevi troppo! Quella lì corre dietro a tutti i calzoni
che vede!
MARIO – E vi sembra niente, messer invidioso? Al giorno d’oggi,
riuscire a portare i calzoni non è poco!
NICOLA – Non mi piacete!
MARIO – E perché mai?
NICOLA – Non mi piace il vostro modo di parlare!…Voi, signore,
possedete l’arte fastidiosa di mostrare subito la vostra intelligenza!… Ciò fa
sentire uno sciocco chi vi sta di fronte!
MARIO – Questa sì che è una brutta notizia!… Se fosse vero, corro un
pericolo ben più serio di quello che pende su vostra moglie!… La Santa
Inquisizione potrebbe intender la mia come l’eresia più grave!
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
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NICOLA (fa un gesto di scongiuro) – Ecco che mi risultate pure uccello
del malaugurio!… Che razza di spiritosaggine è mai la vostra, a voler
pestar la coda al cane che dorme?… Andatevene via, eccellenza!… Finiteci
da solo come un pollo arrosto, se l’avete tanto a caro!… A me piace il
fresco!
MARIO (prendendolo vivamente per il braccio) – Dite bene, messer
idiota!… Sono io che corro dei rischi standovi accanto!… (sogghigna) Basta
vedere con quale furbizia vostra cognata ha urlato dal balcone i fatti di
casa vostra!… Quella gente, in tempi difficili come gli attuali, fa in fretta a
riempire il vento dell’odore di carne bruciata!… Mi pare che vostra moglie,
dentro quel vento, ci sia già… e può chiamarvi a sé da un momento
all’altro!
(Spunta Lucia. Tiene un fiasco di vino).
LUCIA – Ecco del vino che ancora serba intatta nel corpo tutta la
frescura della cantina!… (Alza gli occhi) Ma, guardate chi arriva!… La mia
sorellina con gli altri pazzi… ed il loro messia!
NICOLA (guardando) – Ma, sono tanti!
MARIO – Questione di disperazione, amico!… La disperazione è il
miglior presupposto per le svampate della fede.
NICOLA – Ora, a quella vecchia stolida, gliele ricaccio in gola a nerbate,
la sue smanie!
(Nicola va dalla moglie, mentre Lucia gli porge inutilmente il fiasco per
bere. Lucia, allora, alza le spalle e beve. Poi, lo porge a Mario, che beve,
torna il fiasco a Lucia e raggiunge Nicola).
Scena III
Personaggi: detti, più Nina , popolani e Vincenzo Buonaiuti, il preteso
figlio di Gesù.
(Vincenzo arriva in piazza coi suoi fedeli).
VINCENZO (ad alta voce) – Ti chiedo perdono, padre mio, per i peccati
del mondo!… Ti chiedo perdono per l’insaziabile sete di ricchezza e di
potere di chi ha portato la rovina nella nostra terra!
MARIO (a Nicola) – Addio!… Costui, appena lo sentono le orecchie che
penso io, è già salito sulla catasta di legna!
NICOLA (raccoglie il suo tamburo e corre verso la moglie) – Nina!…
Nina, vecchia pazza!… Che ti passa in mente?… Che stramberie sono mai
queste?
NINA – Perché starnazzi così, come una papera ubriaca?
NICOLA – Vecchia svanita!… Se non vieni subito via, in breve sarà
l’inquisizione che te lo farà capire meglio di me, il perché!… (a Vincenzo,
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
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minaccioso) Tu sarai il diavolo e devi averle fatto qualche magarìa!… Nina
non mi ha mai parlato così!
NINA – Perché non ne avevo la forza!… Mi rendeva debole la fame!
NICOLA – E credi forse che costui ora ti darà da mangiare?
NINA – Da oggi per la povera gente come noi ci sarà giustizia!
LUCIA (che si è avvicinata, ridendo) – Che ti dicevo, cognato mio? E’
pazza, ormai!… Tua moglie si è venduta la zucca!
NICOLA (si volta verso di lei) – Non t’impicciare tu! Vecchia zitella
rancida!
LUCIA (a Mario, lamentosa) – Vedete come mi tratta? Questo, perché ho
venticinque anni e non sono ancora maritata!
NICOLA – Sono trentuno, non venticinque!
MARIO (a Nicola, indicando Lucia) – Vi pare questo il momento di
mettersi a contare gli anni di vostra cognata, messer matematico?…
(sorride a Lucia) Voi, peraltro, serbate intatta la grazia dei diciott’anni!… (a
Nicola) Suvvia, messer Orso! Portate a casa vostra moglie e chiudetela
dentro!
VINCENZO (a Mario) – Perché non vuoi che questa donna segua la vera
fede?
MARIO – Perché, in fondo alla fede che dici tu, io ci vedo un bel rogo!
NICOLA – Ma, quest’uomo sa parlare solo di roghi?… (a Nina)
Andiamo via, moglie, andiamo via! Manca poco all’arrivo del principe e
non vorrei che avesse la luna storta!
(Si dirige verso casa con la moglie).
Scena IV
Personaggi: detti, meno Nicola e Nina.
VINCENZO (a voce alta) – Io vi dico che il padre mio, Gesù, volle che
per gli uomini la vita fosse come un santo pellegrinaggio… Viaggiamo tutti
dentro grandi carrozze, tra le mille asperità del terreno e gli agguati dei
briganti… La nostra meta è la Città di Dio!… Ma, non meno importante
della meta mi pare il modo in cui viaggeremo!… Se terremo noi, ben salde
nelle mani, le redini, quando la carrozza compirà il percorso, potremo
avere i meriti della buona guida!… Non siate, quindi, come certe
femminuccie, che, anzicché salire a cassetta, per paura di un po’ di vento
fanno guidare gli altri e se ne stanno chiuse dentro, senza vedere né le
insidie della strada, né le bellezze del paesaggio!… Tornate ad essere
padroni della vostra vita!… Poiché non c’è gioia nel cibo, se come avviene
ai porci, esso vi arriva nel truògolo senza che vi chiediate il perché!… Non
aspettate di sentirvi in gola il coltello del massaro, per capire il perché
della servizievole cura dei potenti!
MARIO – Amen, costui è ormai sul rogo!
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
94
LUCIA – Gesummaria!… Questo tipo mette fuori le eresie come le
ciliege: l’una tira l’altra!
MARIO – Fa di peggio!… Egli mette in discussione il principio stesso di
ogni convenienza mondana!… (a Vincenzo) Tu sei un incosciente, amico!…
Fra poco, le tue belle idee dovrai discuterle sotto tortura!
LUCIA (indica lo spazio per la partita a scacchi) – Perché non fate
cominciare il guoco, invece? Il principe e la corte stanno per entrare nel
Castello.
Scena V
Personaggi: detto, più il principe ed il suo seguito.
(Musiche, mentre don Francesco Branciforte, la sua sposa e i suoi
cortigiani entrano nel cortile e si sistemano sul palco d’onore. Don Pietro
Carrera e don Federigo Vargas prendono posizione sullo spazio della
partita. Tutti, compresi i fedeli di Vincenzo, vi si dirigono. Vincenzo resta
solo con Tortelli e Lucia).
MARIO (fa spallucce) – Come vedi, ti hanno già lasciato solo!… E
perché, poi? Per un po’ di gioco!… Purtroppo, la santità ha il terribile guaio
di non essere divertente!… (porge il braccio a Lucia) Venite con me, mia
bella dama! Fra poco, guarderete l’opera di due autentici maestri!… Mi
piacerebbe, però, che dopo riprendessimo i nostri bei conversari!
LUCIA (ridendo, compiaciuta) – Siete uno sfacciato!
MARIO (s’inchina) – No, sono un fortunato, poiché ho appena goduto
della radiante luce del vostro riso! (Le dà il braccio e si avvia).
(Mentre si allontana con Lucia, la sbirraglia circonda Vincenzo).
GUARDIA – Vincenzo Bonaiuti! Venite con noi!
(Se lo porta via, dopo avergli stretto i polsi con i famosi “manichini” –
cordicelle piene di nodi con in cima delle bacchette di legno).
Scena VI
Personaggi: Giocatori partita a scacchi.
CARRERA – Sotto il vostro nobile sguardo, s’apre, eccellentissimo
principe, codesto ardimentoso cimento!… Balzi dunque il mio nero
destriero nella seconda casa dell’alfiere!
VARGAS – A ciò io darò una regale risposta, eccellentissimo don Pietro
Carrera!… Che il re bianco si rechi in bellicosa visita nella casa dell’alfiere!
CARRERA – Una mirabile e maravigliosa metafora il vostro agire mi
suggerisce, o nobile e valoroso amico: la torre, nata per la difesa, sia il mio
AA. VV., Le voci fra gli sterpi
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attacco!… Si rechi dunque nella casa della vostra torre ad insidiar da vicino
il re nemico con uno scacco!
VARGAS – Il vostro ardimento non rimarrà senza mia risposta!… Senza
vigliaccheria, ma con savia prudenza, il re bianco metta in salvo se stesso e
la partita rifugiandosi nella seconda casa del suo cavallo.
CARRERA – Renderò vana la vostra sagacia, pregiatissimo don Vargas!
Perseverante la torre mantenga una minaccia di scacco, spostandosi nella
casa della torre gemella ed avversaria
VARGAS – Ma il mio re non dorme e corre nella terza casa del cavallo!
CARRERA – A non dormire sono gli umili pedoni, nobilissimmo don
Federigo! Il pedone nero, infatti, vada a dare scacco sulla terza linea!
VARGAS – Saprò tornare sui miei passi ed evitare la rovina!… Torni il re
bianco sulla seconda del cavallo, per momentanea difesa e per
determinazione di un prossimo attacco!
CARRERA – Ma, l’insonne umiltà di un pedone sarebbe ben misero
pregio, se la costanza non l’accompagna!… Il pedone nero continuerà a
dare il suo scacco avanzando di una casa!
VARGAS – Saprò sfuggire a questa insidia e riporterò il mio Re nella
terza dell’alfiere.
CARRERA – Gli umili non procedono mai in solitaria debolezza,
pregevolissimo don Federigo. L’altro pedone nero corre in aiuto del
compagno e vi da scacco nella quarta della torre bianca. E tutte e due
insieme vi danno scacco matto.
(Applauso del popolo).
Scena VII
Personaggi: don Francesco Branciforte, Mario Tortelli.
(Palco delle autorità)
PRINCIPE (alzatosi per assegnare la vittoria) – La bellezza dei templi e
dei palazzi che abbelliscono questa città sarà la parte migliore di quanto
resterà di noi!… Gli opportuni interventi legislativi, gli acquedotti, il
razionale sfruttamento della terra danno gloria ai buoni governanti; ma,
tutto ciò ha principio e fine nel valore e nell’acume dei governati! Così,
quando il potere dei re si sposa col volere dei sudditi, un popolo si
consegna alla storia!… Chi trae gioia dall’armonia non si lascia annichilire
dalle forze brutali della natura e dell’avversa sorte!… Perciò, consideriamo
il nostro regno l’occasione per realizzare l’ordine al quale Dio ha destinato
gli uomini!… Bisogna ridefinire l’ubicazione delle case e ridisegnare la rete
delle vie, con migliore gusto e con più avveduti ragionamenti. Tale opera
pretende che si dia voce ai nostri migliori intelletti, favorendo nobili gare
che ne misurino il valore… Oggi, di queste gare, se ne avuto un
bell’esempio! Don Pietro Carrera, parroco di Santa Maria della Stella e
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lustro della corte di Militello, ha condotto con mirabili doti di stratega
un’incruenta battaglia sulla scacchiera contro il fiero hidalgo don Federigo
Vargas, sodale ed ambasciatore del nostro amato sovrano, Filippo IV!… Il
valore e l’ingegno dei due contendenti sono risultati di pari altezza, anche
se il favore della fortuna è andato a don Pietro Carrera. Noi, di ciò, ci
compiaciamo ed assegniamo ai due eroi un uguale premio, per rendere il
giusto onore al merito dell’ospite e per dovere di cortesia!
(Consegna i premi prima a Vargas e poi a Carrera, tra le ovazioni del
popolo).
TORTELLI (facendosi avanti) – Io credo, mio nobile principe, che il
dovere di noi sudditi sia quello di aiutare i governanti nel loro compito di
civiltà, magari non mancando, qualche volta, di coglierne a volo i pensieri
reconditi… (Rivolto al popolo) Per prima cosa, giustamente, i regnanti
vogliono che il popolo sfugga alle insidie del demonio, il quale, per la
generale rovina, istiga alla ribellione contro i governanti!… (Al principe) Se
ne avuta un’atroce prova circa un’ora fa, quando la vostra solerte guardia
ha arrestato un uomo che, se non fosse un povero pazzo, sarebbe un
emissario del demonio! Tal Vincenzo Bonaiuti, mi dicono figlio di una
prostituta, ha osato profferir sul Cristo concetti che le mie labbra non
vogliono ripetere!… Penso, però, eccellentissimo don Francesco, che le
tentazioni del demonio possano diventare la prova della vostra grandezza,
se da esse saprete salvaguardare il popolo senza rinunciare alla clemenza
cristiana!… Ecco perché, in questo giorno di festa per gli uomini
d’intelletto, vi chiedo un gesto di clemenza per gli ingenui popolani che
hanno ascoltato i deliri di Vincenzo Bonaiuti…
Scena VIII
Personaggi: detti, più una guardia, Nicola, Nina, Lucia.
GUARDIA (sopraggiungendo coi compagni da una traversa) –
All’armi!… All’armi!… Il prigioniero è fuggito!
(Raggiungono il principe).
MARIO (scoraggiato, a Nicola che sopraggiunge) – Questa non me
l’aspettavo davvero, messer combinaguai!
NICOLA (al principe) – Non prendetevela con noi, principe!
Quell’uomo sembra essere stato risucchiato dal Cielo!
MARIO – E s’è portato via il vostro cervello!
LUCIA (sopraggiunge, ridendo) – Mia sorella è proprio uscita di
senno!… Dice che la guardia s’è addormentata di colpo e quel tizio se n’è
salito su, come un cardellino!
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NINA (sopraggiungendo, con un tegame in mano) – Egli è davvero
tornato in Cielo, brutta faccia di cagna!
NICOLA (gettandosi in ginocchio davanti a don Francesco) –
Perdonatele questi vaneggiamenti, principe!… E’ pazza!… Noi siamo
povera gente!… Non c’entriamo nulla! Non abbiamo visto nulla!
LUCIA (a Tortelli) – Io, signore, in verità qualcosa l’ho vista!… Anzi l’ho
sentita!… C’è stato un gran rumore di pignatta!… Proprio nel momento in
cui la guardia che accompagnava quel fanatico passava sotto una certa
finestra!
NICOLA – Sta zitta, ubriacona!
PRINCIPE (ridendo e facendo rialzare Nicola) – Tranquillizzatevi, buon
uomo! Forse la pignatta è soltanto caduta di mano a vostra moglie!… (Fa
cenno alle guardie di andare via)… D’altra parte, come ha ben detto don
Mario Tortelli, in un giorno di gioia come questo anche la fuga di un
fuorilegge può servire a dare una prova di clemenza! La mia ira, quindi,
risparmierà vostra moglie!… E, riguardo a Vincenzo Bonaiuti, sarà Dio a
decidere quando, riportandolo in mio potere, dovrà subire l’esemplare
punizione che si è meritata!… Si dia seguito alla festa, adesso!
(Musica e fuochi d’artificio di chiusura).
FINE DELLA PARTITA


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